giovedì 28 ottobre 2010

OSSERVATORIO CRITICO UNIVERSITARIO - Terzo incontro


CONTRADDIZIONI IN ERBA - le vere sincronie di errori non prevedibili

Sincronie di errori non prevedibili.
Ma prevista è la previsione che l’errore si paleserà.
Dunque,o ammettiamo che anche il calcolo dell’errore sia errore,o ci pieghiamo al fatto che, di errore, ahi-noi, dell’errore inteso come inciampo nell’ordine costituito del gran creato, quello che scompagina le cose belle e le pone fronte al disordine, con un titolo che preannuncia qualcosa di impreannunciabile, ahi-noi di nuovo, non è aderente parlare.

Se dietro, sotto, più sotto dell’ordine costituito, un tempo risiedeva il grande amico caos, ora, il nostro amico è oramai morto, lasciando posto ad una serie di piani ordinati sui quali abbiamo costruito in maniera rassicurante le nostre caverne accoglienti e sempre più sofisticate.

Personalmente ho avuto l’impressione che i Santasangre non siano abituati ad accogliere di buon grado l’etichetta di alternativi sperimentatori del teatro di ricerca, ma è stato per me impossibile avvertire quanto, al contrario, gli afflati di cui la critica e il pubblico li circonda tendano esattamente a non mancare dal farlo pur mozzicandosi la lingua quando l’istinto si affaccia col suddetto appellativo.

“ALTERNATIVI”.

Bisognerebbe comprendere quali siano i termini di paragone in merito al confronto.
Anche una mela è alternativa ad una pesca in mancanza della pesca.
Un confronto che poggia le sue basi su un’assenza. Brutta partenza. Forse anche un po’ frustrante per una compagnia di “mezz’età”, consolidata da diverso tempo, posta irrimediabilmente davanti alla questione del proprio alternativismo rispetto a qualcosa di cui si suppone che la scena contemporanea sia carente.

Quando è poi la critica stessa a domandare quanto questo fardello pesi sulle direzioni artistiche e sulle sue intenzioni, non fa altro che alimentare la corsa del criceto sulla ruota: sempre la stessa.
E invece di acconsentire alla liberazione di un “gruppo” tuttavia autonomo e cosciente del proprio operato, dalle etichette che le vanno strette, si cimenta in una prova di ostinato luppaggio.


“SOFISTICATI”.
Questo sì.

Sofisticati a tutti i costi. Questo forse.

L’astrattismo è probabilmente pronto a compiere il rischio di seguire un percorso che pian piano porti all’inevitabile scarto del superfluo e all’affinamento di quella minima serie di prospettive ritenute meritevoli di studio forsennato e per questo, messe a punto con la perfezione scientifica d’una passione risolta. Ma le dinamiche artistiche portate in scena dai Santasangre già di per sé vantano un’anima “sofisticata” ancor prima che astratta.
Il rapporto tra teatro e tecnologia, o meglio, la trasfigurazione dell’evento teatrale in un evento multisensoriale, in cui è prevista la scomparsa dell’elemento uomo (o performer che sia) in favore di una materia universale, dalle prerogative non umane ma non per questo prive di un proprio linguaggio comprensibile in primo luogo per l’uomo stesso (poiché è proprio ad esso che si dirige), tutto questo non potrebbe avvenire senza aver sofisticato i propri mezzi espressivi e l’utilizzo degli stessi.
Nulla di diverso da quello che Calvino riconosceva a Leopardi tutto sommato, ritenendo che per esprimersi in modo poeticamente vago, occorre tuttavia una puntuale precisione.

Ed è notevolmente sorprendente scoprire che dietro a questa enorme macchina instancabile fatta di proiezioni, istallazioni video, immagini nel senso scientifico del termine, dunque luce, meccaniche tecnologiche in assenza di volti e men che mai di fonemi sofisticati come le parole, risieda una critica politicizzata nei confronti degli stessi mezzi di cui ci si serve per la messa in scena e per il risultato degli spettacoli o degli esperimenti stessi.

Ma ben istruiti rispetto al prodotto/sintesi della dialettica hegeliana servo-padrone, ci viene il dubbio che per liberarsi di qualcosa, ci si possa incatenare con qualcos’altro.
Dubbio fallibile e poco importante, a mio avviso, poiché tutto quel che conta è che seppur per un tempo breve, si abbia l’impressione che la voce venga fuori direttamente dalla materia, non più dall’uomo, impegnato ora in un sacro e meravigliato ascolto e non nel chiacchiericcio quotidiano ed informe.

Maria Rita Di Bari
Osservatorio critico Romadue

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