martedì 26 ottobre 2010

MATERIALI E RIFLESSIONI - Secondo incontro






















LE RIFLESSIONI CRITICHE DI CLAUDIA CANNELLA

Esercizi di critica su “Esercizi di rianimazione” - Non uno spettacolo, e questo si sapeva, ma neanche uno studio si può definire “Esercizi di rianimazione”, presentato da Andrea Cosentino a Novo Critico 2010. Sembra più un check sugli strumenti che vorrà utilizzare per il successivo lavoro, verificandone l’efficacia nella relazione col pubblico. Ritrovo l’intelligenza bizzarra e i segni tipici del teatro di Andrea (da poco affiancato da Francesco Picciotti): l’importanza degli oggetti e dell’interazione fra loro e con gli spettatori, il pupazzo di Artaud (un alter ego?), i meccanismi della clownerie, il disinteresse verso un racconto lineare (ma attenzione: non verso un’idea più generale di narrazione, checché ne dica lui!) a vantaggio di una sorta di blob situazionista, le citazioni (Buster Keaton) e, ahimè, le autocitazioni... Ho visto un’esercitazione con oggetti messi in relazione fra loro in modo più surreale del solito, ma non ancora un’idea di partenza da sviluppare, un tema possibile che faccia da spina dorsale allo spettacolo prossimo venturo, almeno nella seconda parte, quella mostrata all’interno dello spazio di Kataklisma Teatro. La prima parte, invece, realizzata sul marciapiede antistante, è già qualcosa con una forma più definita. Francesco, seduto per terra, anima il pupazzo di Artaud, mendicante rabbioso che, con voce registrata, chiede denaro in cambio della sua arte. Molto attuale, crudele, politico. Sarebbe bello creare squadre di performer che lo vanno a fare tutti i giorni davanti a teatri e uffici ministeriali! Non so se si possa stabilire un nesso tra le due parti del lavoro di Cosentino-Picciotti. Lo scopriremo alla prossima puntata. Ora tocca ad Andrea (e a Francesco). Buon lavoro!

All’Eliseo, all’Eliseo! - Mentre guardavo il lavoro di Andrea, osservavo anche le reazioni del pubblico: molti ridevano, alcuni in modo eccessivo, quasi anticipando le gag. Ho pensato: vabbè, siamo in famiglia... era netta la percezione di un sottotesto, nella relazione artista-pubblico, che affondava le sue radici in consuetudini e rapporti non occasionali. Troppo facile!, ho pensato perfidamente. Perché non esporre il proprio lavoro anche di fronte a spettatori eterogenei, non solo fan? Da qui il tormentone della serata: come reagirebbe il pubblico del Teatro Eliseo di fronte a tutto ciò? Ovviamente era una provocazione. Ma anche un invito. Dal momento che il lavoro di Cosentino si basa molto, addirittura si modella sull’interazione col pubblico, perché non cimentarsi con spettatori diversi dagli amici e dagli ammiratori? Credo che, soprattutto in questa fase di studio e sperimentazione, proprio dalle situazioni meno prevedibili potrebbero venir fuori materiali interessanti da metabolizzare. E anche a me, come ad Andrea, «non piace l’omogeneità culturale che esiste tra il teatro, in special modo quello di ricerca, e i suoi spettatori. Non mi piace quella complicità predeterminata, come non mi piace in generale l’arte targettizzata» (A. Cosentino, “L’apocalisse comica”, Roma, 2008, Editoria & Spettacolo).

Meglio dormirci sopra - Mi piace l’idea di tirar su una saracinesca e di entrare in un piccolo teatro. Mi piace che si riempia in modo disordinato, come le scarpe lasciate ammassate nell’atrio. Non ero mai stata ospite di Kataklisma Teatro, né mi era mai capitato di dover improvvisare dei pensieri “critici” a caldo, di fronte a un pubblico, dopo aver visto uno spettacolo, o meglio un frammento, un’ipotesi di lavoro... quasi non amo i commenti (pseudo) critici all’uscita di un teatro con gli amici, figuriamoci con spettatori sconosciuti e dopo quella manciata di minuti trascorsi insieme a vedere un misterioso embrione di qualcosa che sarà. Ma proprio per questo ero curiosa di farlo, di mettermi alla prova, di esplorare luoghi e persone poco o per nulla conosciute. Per questa ragione ho accettato, con divertita apprensione, l’invito di Elvira e di Daniele, istintivamente sicura, conoscendoli, che non sarebbe stata una cosa tipo “segue dibattito” di fantozziana-morettiana memoria. In effetti il confronto immediato con gli artisti e col pubblico è stato interessante e vivo, ma più per quello che ho potuto ascoltare che per quel che ho potuto dire. Resto infatti convinta di una mia vecchia idea, fisicamente testata sulla mia pelle: meglio dormirci sopra! Nel senso che preferisco lasciar sedimentare pensieri e riflessioni prima di indossare i panni della critichessa. O forse anche vedere prima il lavoro, per rivederlo poi insieme al pubblico e parlarne tutti insieme. Gli artisti magari lavorano mesi, e poi arriviamo noi critici a liquidare la pratica in poche righe o parole approssimative. Nel bene o nel male. Questo mi fa sentire inadeguata, a volte poco “rispettosa” del lavoro altrui, e continua a non piacermi.

Claudia Cannella

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