venerdì 22 ottobre 2010

OSSERVATORIO CRITICO UNIVERSITARIO - Terzo incontro

Santasangre incontra Antonio Audino


L’IMMAGINE DEL PRESENTE, TRA REALE E VIRTUALE

Per la prima volta in occasione di Novocritico siamo seduti in un’aula universitaria. Confortati dal fatto che non si tratta di una lezione, nonostante la posizione frontale suggerisca il contrario, attiviamo da subito uno scambio diretto con gli artisti, che senza indugio ci parlano dei loro Studi per un teatro apocalittico. 84.06 è il primo momento di una trilogia che comprende anche Spettacolo sintetico per la stabilità sociale e Seigradi. Senza troppe presentazioni, due ragazze vestite di nero e con le idee molto chiare proiettano sul muro il loro lavoro, sperando di restituire almeno in parte quelle suggestioni visive e sensoriali caratteristiche della fruizione dal vivo, quindi ci introducono l’attività del loro collettivo: i Santasangre. Apocalisse, dicevamo, una parola recuperata da questi artisti nel suo significato etimologico originario, senza sensazionalismi. Si parla del disvelamento di un futuro prossimo con un approccio analitico e laico, da un punto di vista sociale e politico: appiattire la crisi affinché l’individuo non possa più discutere nulla.
In quest’ottica rileggiamo la trilogia. 1 - Uomo che resiste, 2 - Uomo che preferisce la solitudine e basta a sé stesso, 3 - Eliminazione di ogni rapporto tra individuo e sistema. Si svela uno spunto letterario (1984 di Orwell e Il Mondo nuovo di Huxley) in relazione alle prime due creazioni, per la terza invece l’allarme è esplicitamente il surriscaldamento terrestre, una deriva catastrofica che segna per l’uomo condizioni di sopravvivenza al limite. Quel limite racchiuso in soli sei gradi di calore, da non oltrepassare. Eppure Santasangre non si preoccupa tanto di valutare questa tesi, quanto di denunciare un’urgenza generale, un pericoloso allarme. Lo urla a gran voce, ma senza parole. Seigradi è un discorso universale ed emotivo, fatto soltanto d’immagini olografiche, elementi di natura artificiale realizzati in 3D, vere e proprie estensioni del performer in scena, che confondendosi col suo corpo soppiantano l’immagine naturalistica e, nonostante l’uso di una complessa tecnologia, rivelano un ciclo vitale di estrema semplicità: suono, corpo e immagine si fondono in un crescendo che dalla nascita evolve e si tramuta in distruzione. Un percorso iniziato già con 84.06, in cui automatismi sonori e indicazioni verbali invitano il corpo del performer a danzare con una tecnologia fatta di riflessioni olografiche e immagini video, dotate di una funzione quasi attoriale. Questa estetica si è poi perfezionata con Spettacolo sintetico per la stabilità sociale, in cui le manipolazioni visive rivelano vere e proprie rappresentazioni del sistema sociale e la voce si manifesta ancora in forma di registrazione. Con Seigradi si va invece verso l’astrazione totale, attraverso l’abbandono della parola in scena: ma non c’è silenzio, c’è canto, ci sono fonemi e rumori gutturali prodotti dall’apparato umano.
L’elemento live “esiste e resiste”, dice Santasangre, e testimonia una scelta di umanità: musica e video sono sempre gestiti in tempo reale da una regia magistrale, per restituire il senso di una forte precarietà. Al pubblico però non è richiesto di capire fino in fondo questo lavoro di manipolazione dal vivo, l’importante è che focalizzi l’attenzione su quel sottile confine tra virtuale e reale, che dona al performer una natura liminale e piena di senso.
Santasangre ci presenta poi altri esperimenti, tra cui Sincronie di errori non prevedibili, in cui il video non è più immagine che raffigura; agisce soltanto la luce, immersa in un impianto caotico di corpo e suono che si sviluppa, tuttavia, da una struttura molto semplice. Il titolo stesso è la sintesi di un lavoro fatto su scarti di corpo, video e audio: “errori che diventano materiali”, spiegano gli artisti, secondo un processo che molto ha in comune con gli esperimenti scientifici. Questo lavoro va in direzione dell’eliminazione del corpo umano, sostituito alla fine da una lastra di ghiaccio: materia viva allo stato puro. Arte e scienza così si fondono per restituire alla natura la sua fenomenologia.

I materiali di cui parlare sono davvero tanti. Antonio Audino coordina una discussione la cui forza sta nell’evidenziazione di un paradosso, ovvero l’angoscia della virtualità e il suo uso per fare un discorso contro la società della virtualità stessa. Il rischio, dice Audino, è che lavorare sull’immagine possa far sì che questa inglobi tutto lo spettacolo. E allontanarsi dalla parola, continua Donatella Orecchia, avvalora questo rischio: procedere verso l’astrazione oggi è sicuramente una strategia vincente, ma allo stesso tempo è una strada pericolosa da percorrere, perché potrebbe far cadere nel vortice di un virtuosismo autoreferenziale.
Santasangre ribadisce l’importanza nel suo lavoro dell’incontro con il pubblico e la concezione fortemente sentita da tutto il collettivo, del teatro come luogo fisico, emotivo e intellettuale. Poche altre certezze, dunque, ma una su tutte emerge incondizionata: il video non è mai soltanto un accessorio e la relazione con la tecnologia nasce da una logica cognitiva e insieme viscerale. Santasangre usa il linguaggio naturale di una generazione che vive e opera con i mezzi della contemporaneità, senza troppo stupore. In questo senso, testo e immagine hanno lo stesso potenziale e la manipolazione video, usata per dire qualcosa di molto forte politicamente, serve per costruire e portare un ragionamento davanti al pubblico, imprescindibile presenza per la riuscita dello spettacolo. Le strategie adottate non si riescono a riassumere nella codificazione di un metodo assoluto e valido per ogni spettacolo, bensì si concentrano nella capacità di saper trovare criteri e logiche sempre nuove rispetto ai diversi progetti.

In conclusione, oggi non sembra facile aiutare compagnie di questo genere a capire come “mettere le radici” e come fissare in modo solido la loro presenza sulla scena contemporanea, senza arrendersi alla fastidiosa constatazione di essere un semplice fenomeno di moda, che opera in quanto oggetto di consumo dell’evento spettacolare. Per un collettivo di artisti che s’inscrive a pieno titolo nel magma della virtualità, la realtà resta quanto di più incomprensibile: trovarsi quotidianamente a confronto con un teatro che istituzionalmente, spiega Audino, non ha alcuna voglia di assorbire i loro segni. E non parliamo di segni del “nuovo a tutti i costi”, ma semplicemente di segni della contemporaneità. Non a caso molti artisti continuano ad essere considerati “giovani” ed “emergenti” anche ben oltre la soglia dei 30 anni o quando dall’estero hanno già ricevuto molte attestazioni di successo e di riconoscimento ufficiale. Questo è un dato che i Santasangre avvalorano quando parlano esplicitamente di una forte “paura del futuro”, una paura che, sempre secondo la loro testimonianza diretta, riguarda anche molte altre compagnie italiane di ricerca della stessa generazione.

Francesca Magnini
Osservatorio Critico Università Roma1
21 ottobre 2010

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