giovedì 20 gennaio 2011

OSSERVATORIO CRITICO UNIVERSITARIO - Ottavo incontro

Ottavo incontro - 10 novembre 2010 

Novo Critico 2010. Daria Deflorian incontra Katia Ippaso



Sé come un altro.

Trattenersi, non mostrarsi per evitare l’eccessiva immediatezza e il finalismo progettuale.
Daria Deflorian sceglie per il pubblico di Novo Critico il racconto dell’idea cardine di Reality, futuro spettacolo che la vedrà protagonista insieme ad Antonio Tagliarini. Nessuna rappresentazione dunque, ciò che abbiamo al momento è la folgorazione di un inizio, l’incubazione entropica di un’idea. L’incontro con il soggetto, racconta l’artista, avviene durante un’assolata domenica di marzo: Daria si imbatte per caso nella storia di Janina Turek, casalinga di Cracovia che dal 1943 al 2000, anno della morte, racconta i dettagli della propria quotidianità senza interruzione e senza mai renderli pubblici. A poco a poco, la scrittura diventa il suo mestiere: i più banali e irrilevanti dettagli vengono annotati su 748 quaderni, quasi si trattasse di libri contabili. Janina non scrive mai di sé, e quando accade lo fa in terza persona, guardandosi vivere. L’intuizione artistica è imperiosa, categorica; il primo impatto fortemente emotivo. Ossessione patologica o meno, poco importa. Il racconto della Deflorian è commovente e commosso, la sua immagine della donna che spiò se stessa quasi come fosse una necessità imprescindibile, è felice e rispettosa. Forse ancora troppo partecipata. Per la domanda di Katia Ippaso sulle modalità della messa in scena non c’è ancora  una risposta precisa. Ciò che è certo sono i molteplici interrogativi che la storia pone agli artisti e al pubblico. E il futuro titolo sintetizza e non lascia scampo: Reality contiene in sé il rapporto tra il reale e la sua rappresentazione. Ci troviamo ancora una volta a riflettere sul paradosso del Teatro, che è per definizione vita artificiale, si, ma partecipata, e che tanto si discosta da quella voyeuristica visione da guardoni che è propria invece del moderno Reality Show. Bisogna lavorare per sottrazione allora, ad eliminare del tutto quel termine mancante. E’ lo stesso lavoro di Janina ad aprire la strada mettendo in gioco la dialettica tra pubblico e privato, tra dicibile e ineffabile. Apparentemente i suoi scritti sembrano inserirsi in un circuito chiuso che elude tanto la dimensione del proprio vissuto emotivo, quanto quella collettiva. Una macchina puntigliosa ferma sulla carta significanti sterili e matematici, dove pathos e ethos si annullano. Eppure, sostiene la Deflorian, l’azione di questa donna sembra aver a che fare con un altrove non raccontato, con una dimensione metafisica da indagare, quasi che la scelta volontaria fosse quella di celare l’essenziale. Inoltre, aggiungiamo noi, se da una parte il soggetto sembra oggettivarsi solo attraverso un’indagine privata e analitica del sé, dall’altra, fanno riflettere la continuità e la decisione di conservare questi scritti. A futura memoria. Nessuna violenza dunque, così come ha suggerito qualcuno. Un tradimento necessario, certo. Di fronte ad un’individualità scissa tra il detto e il non detto – ineludibile punto di partenza- si pone lo sguardo critico dell’arte, a dialogare con la Storia passata e presente, a riflettere sulla propria identità e sulla propria dimensione quotidiana.

Francesca Bini
Osservatorio critico Roma2

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