domenica 16 gennaio 2011

OSSERVATORIO CRITICO UNIVERSITARIO - Sesto incontro

Settimo incontro - 3 novembre 2010

NOVO CRITICO 2010 - "Studio per un manicomio"
Teatro Forsennato incontra Florinda Nardi




Teatro Forsennato incontra Florinda Nardi.

Università di Tor Vergata, Aula Moscati.
Due attori siedono sul tavolo della commissione d’esame.
Cadute le barriere didattiche ci ritroviamo in un manicomio: sullo sfondo la figura di Carlo Angela, direttore della casa di cura torinese per malattie mentali “Villa Turina Amione”. E’ qui che durante la dittatura fascista Angela salvò, facendoli ricoverare e insegnando loro a simulare le condizioni dei “veri” malati mentali, un gran numero di antifascisti ed ebrei. I protagonisti sono Enrico - Dario Aggioli- fascista che soffre di autismo, e Ferruccio – Angelo Tantillo - ebreo che finge la follia per eludere le leggi razziali.

A risposta di una domanda non formulata,
Enrico si alza: sa ciò che deve cantare e sembra goderne.
Faccetta nera..bell’ abissina…
Aspetta e spera che già l’ora s’avvicina!
Godimento autistico e più che mai illusorio di chi si sente finalmente parte di un sistema.
Enrico ha bisogno della “maschera fascista” e sarà Ferruccio, l’ebreo,
a porgergliela come se fosse un gesto quotidiano, abituale.

Il frammento della nuova produzione di Teatro Forsennato viene presentato al pubblico due volte e interrotto da una discussione tra il regista-attore Dario Aggioli, e il suo compagno di scena. Tra la rappresentazione e la teoria del suo farsi non ci sono tempi morti. La seconda volta si notano il cambiamento e in alcuni casi, le migliorie. Siamo di fronte a un atto performativo meta teatrale molto più esaustivo delle discussioni successive. All’apertura del dibattito vengono comunque chiariti alcuni punti relativi al modus operandi della compagnia: l’utilizzo di un canovaccio autoriale, la pratica improvvisativa, l’inclusione attiva dello spettatore. E’ nel manifesto programmatico di Teatro Forsennato l’intenzione di rivalutare il carattere unico e irripetibile dell’evento spettacolare, a curare il dettaglio del contingente, l’interstizio mutevole del reale. Interessante l’uso della mezza maschera della Commedia dell’arte come strumento di studio da abbandonare lungo il percorso. A tale proposito: i costanti riferimenti alla Commedia all’improvviso, necessari a nient’altro se non ad una sterile categorizzazione, sono sembrati a tratti anacronistici. Nonostante l’utilizzo di alcuni strumenti noti, la volontà della compagnia non sembra certo essere quella di un revival della Commedia dell’Arte, quanto piuttosto il riconoscimento di un metodo utile al proprio lavoro.

Ma qual è il punto secondo me importante della mezza maschera?
Che togliendosela, l’attore deve finalmente capire che è lui stesso, tutto se stesso, una maschera.
A quel punto sei diventato un attore, un attore vero.
Leo de Berardinis-

Francesca Bini
Osservatorio critico Roma2




TRITOLO&DINAMITE
L’han detto.
Forse poi l’han pure fatto.

Che tremendo risveglio l’interruzione da un sogno che ti parlava come fosse verità.
Han zittito una platea esigua,è vero,ma pur sempre rispettabile.

Forse no invece,la memoria mi zoppica e a focalizzar ben bene Dario Aggioli e Angelo Tantillo (Teatro Forsennato) il pubblico l’hanno fagocitato.

E poi gli è toccato scontarla lunga per aver affermato quel che in pochi hanno digerito.

Un ebreo che fugge morte
dal mirino della sorte
in un’epoca lontana
che esigeva razza ariana
e che fronte ad uno specchio
si trasforma nel soverchio
di sua mente sana e lucida
in un’altra tarda e impudica
che rinchiusa già dov’è
canta “    Viva il nostro Re!”
ben convinto che il regime
sia l’amico da obbedire.

Lo han detto e poi lo han fatto.

“ Nei nostri lavori,abbiamo scelto di superare gli psicologismi”.

“Stanislavskij se n’è andato!”
Questo pare ormai assodato
col suo metodo interiore
che ti suscita il fervore
per un che da recitare
come fossi tu a parlare.

Cacciavite poco pratico
tanto che ti rende apatico
della voglia d’esplorare
nuovi muri da forare.
Degli avvitatori è l’epoca
non si turbi la poetica
che se il risultato è quello
non fissarti sul fardello
di qualcosa che s’è spento.

Attenzione platea cara
la notizia non è amara
ma che a voi sia bell’è chiara:
superar NON ignorar
nonostante all’infinito
di grammatica condito
faccia rima con il verbo
che si coniuga alla prima
delle tre la più cospicua.

E’ paura quel che inganna
la risposta di un programma
che sol vede sulla forca
la sua antica e ordita trama
che sul volto alliscia e chiama
la filosofia d’un mito
che l’Aggioli ha sostituito
con proposte ben nascoste
che non sparano alla storia
ma ne cercano di nuova.

A tal punto è cosa stanca
la pretesa che v’arranca
di fissarvi sull’idea di saper
se l’ebreo e il folle (che di stile non è molle)
abbian costruito i tipi
sui colori stabiliti
dall’analisi freudiana
che sua gonna fa campana.

Fuor dal vetro invece un coro
che la psicologia è d’oro
pur mostrando che alle volte
fa da sé la buona sorte
che ti da in eredità
quattro maschere a metà
che col nuovo van riempite
di tritolo e dinamite
per qualcosa da cercare
ma altresì da superare
in quel che chiamano intelletto
dell’attor sotto al berretto
che la psiche è cosa certa
ma superata è l’era di sua scoperta.


Maria Rita Di Bari

Osservatorio critico Roma2

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