martedì 11 gennaio 2011

OSSERVATORIO CRITICO UNIVERSITARIO - Quinto incontro

Quinto incontro - 29 ottobre 2010

NOVO CRITICO 2010 : "1° studio per : DIGERLSELZ"
Elvira Frosini incontra Massimo Marino




UN PRESEPE DIGERIBILE

In quale misura dovremmo consentire all’arte di raccontare se stessa ce lo spiega la lecita preoccupazione di un autore che durante la realizzazione del proprio parto artistico si dimostra inadeguato a prendersi la briga di vestire i panni di analista e paziente di se stesso contemporaneamente.

Quanta importanza accordiamo alle parole postume di un demiurgo che sino al precedente istante era affaccendato ad addomesticare fil di ferro per restituirlo in nastri da ritmica a chicchessia ce lo spiega invece l’insistenza (anche questa più che lecita) di un pubblico critico o meno che ha la necessità incontinente di riempire taccuini mentali con appunti precisi agognando risposte preferibilmente logiche che provengano dalle note narrative di colui che t’ha appena regalato il massimo di quel che avrebbe potuto.

Quanta sottrazione subisce il simbolo per una smania tutta umana che dia garanzia
d’esaustive spiegazioni,quanti pasti siamo soliti regalare alle audio guide,alle didascalie,ai bugiardini, l’ha smentito Elvira Frosini nell’andamento incerto e multiforme col quale ha viaggiato attraverso il curioso dibattito successivo al primo studio su“Digerseltz”,mostrando e dimostrando che l’opera d’arte non ha padroni e non accetta di essere costretta a dar conto d’interpretazioni definitive.

Senza risposte
per le aragoste
avanzò l’orecchio alle proposte
spastiche
di sentenze drastiche
che in fila col numeretto
smaniavano in sala d’aspetto
per così dire
giocarsi la briga
d’intervenir con letture votate alla sfiga.

Ella,
che ironica e baronica
ne plasmò la sostanza
non seppe azzardare
se fosse Pop il pozzo in cui cercare
o canonica la causa
giù nei riposi di santa Costanza.

Scivolò nelle scarpette
basse, elastiche e nerette
da quei sugheri rialzati
che bei chiodi li han domati
per seder di petto al branco
tolto il crine giallo stanco.

Domandò a chi l’ebbe vista
quale fosse miglior pista
se d’un personaggio rosa
o d’un coro maschio a chiosa
tutto intento a rovesciare
quel che donna tende a fare.

Non d’un opera finita
volle messaggiar schermita
ma d’un fare in divenire
che sue trame ha da cucire
che sia d’uopo la platea
nel prestarsi in assemblea
ma d’ellenica visione
non d’un talk per estensione.

Lei vorace Minotauro
bocca affoga dentro al calco
di ventenni bianco talco
che per vanto di maestà
fatti a pezzi squarterà.

Cibo a sbafo,a volontà
guarda è lei,la sazietà
che s’attacca alla condanna
di bignè gonfi di panna
al colletto impiegatizio
che gli picchia forte il vizio
di quel pomo ormai ingrigito
ben distorto in un vagito.

Tutto è scatola di latta
da ingoiare a suon di Ta-ta
perchè divorare è un’arte
pari a una partita a carte
quando arriva l’uomo giusto
via con l’asso piglia tutto
e se in men che non si dica
togli il naso dalle dita
è per dar conto allo specchio
che t’insulta che sei vecchio.

E se non mangiassi più?
Zitto,arriva Belzebù
che se il bimbo è inappetente
la paura vien che il dente
di un vampiro nel midollo
non poi tanto più indolente
venga a stuzzicarti il collo.

Quale il ponte e il suo confine
tra il mangiar e il restar fine
quale invece sia l’inganno
dell’onnivoro nell’anno
di questore in breve carica
che sua pancia riempie e scarica.

Come provocar reazione
della razza in estinzione
che s’ottenebra ingoiando
e che poi lo fa parlando
senza più posar giudizio
sull’andare del suo vizio
di cantar buon compleanno
a una festa benedetta
in cui abbrustolir capretta
tutto questo ben condito
da un cristiano,probo invito.

In ginocchio una Madonna
d’altri tempi
assai moderni
che l’ha valicato lei
il confine coi plebei
e richiama il bel convivio
d’una cena da spartire
tra lo stomaco e il cervello
che compagni in un ostello
si ritrovan paghi e sazi
della vita e dei suoi strazi.

Eccolo,il presepe vivente. Parlante. Brulicante d’uffici viziati.
Eccola,la bocca sociale impazzita,confusa tra l’ingurgitare immagini intrise di strutto e la totale astensione dal cibo.
Eccola,la bocca dove i denti del giudizio non hanno più ragione di crescere.
Eccola,la pecora nera barricata sul confine di una pazzia che non si può più sciogliere in un Digerselz.
Maria Rita Di Bari
Osservatorio critico Roma2

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