domenica 2 gennaio 2011

OSSERVATORIO CRITICO UNIVERSITARIO - Quarto incontro

Quarto incontro - 26 ottobre 2010

NOVO CRITICO 2010 : "UNA"
Alessandra Sini incontra Rossella Battisti

Così è, se ti piace 

Non puoi scegliere cosa accadrà
Non puoi sapere cosa sarai chiamato a vivere
Puoi decidere
In che atteggiamento il tuo spirito si disporrà
Nei confronti del mondo che ti apparirà innanzi
Questo puoi farlo. 
Puoi scegliere se rimanere fuori, provare ad essere l’elemento obiettivo, ma che obiettivo non è, del sistema in cui ti trovi oppure comprendere che all’interno di un sistema di realtà e fantasia tu non sei che una componente variabile e allora abbandonarti a ciò che si scatena sembrerà la soluzione più congrua per immergerti e cercare di cogliere la sostanza di ciò che percepisci. 
Vista
Udito
Tatto
Olfatto
Gusto 
Puoi decidere di attivare ognuno di questi sensi, di diventare  
Istinto puro 
E di farlo attraverso l’intelletto 
Puoi prendere tutti gli strumenti che ti vengono forniti e rielaborare le informazioni che ti arrivano, attraverso la tua sensibilità. Non c’è più giusto o sbagliato, corretto o errato. Si innesca un processo creativo sensoriale. 
Tu
Artista
Si può
Si deve
Essere spettatori ad Arte. Per sé.
Ogni cosa è collegata, non siamo un sistema a chiusura stagna. La nostra progressiva disumanizzazione ci porta ad identificarci con gli schiavi che abbiamo creato per noi

Ad arte

Le macchine.

L’uomo è una macchina perfetta!

No, l’uomo è il più imperfetto, e per questo imprevedibile, robot che si possa immaginare.

Tutto scorre in te in direzioni uguali e contrarie
Dal centro alle periferie
Dalle periferie al centro
La sensazione del bracciolo che tocchi viaggia verso il tuo sguardo che muta il sapore che hai in bocca fino a toccare ciò che odi e a tramutarsi in ciò che annusi
Aria polverosa
Secca
Umida

Puoi fare qualcosa di tutto ciò che viene fatto di te.

Tutto ciò che ti viene dato può essere trasformato; tu non immagazzini dati, idee, immagini ma sei chiamato a ricostruirli, a tuo gusto, nelle tue possibilità, che nessuno sa quali siano. Per quanto cerchi di far rientrare ogni cosa in una pagina da microsoft excel non sei fatto solo per questo.

Sei fatto per uscire dalle righe e dalle formazioni.

Sei fatto anche per reinterpretare
Acquisire e trasformare
Per prendere “Una”, mangiarla, annusarla, guardarla, toccarla, ascoltarla
E trasformarla
Così è, se vi piace

Da profano della danza quale sono non ho che preso le suggestioni dell’artista per ricondurle ad un immaginario che mi era familiare, in un atteggiamento che, mi sembra di aver capito, fosse quello auspicato da Alessandra Sini.

Incapace di lasciar scorrere pure e semplici emozioni il mio cervello ha costruito una storia intorno alle coreografie della danzatrice, evocando un mondo di donne “prime”, intente alla scoperta del proprio corpo e del mondo circostante; non ho potuto fare a meno di vedere un che di mejercholdiano nella studiatissima goffaggine della Sini e nel suo, per me evidente, ritorno ad una primitività, si potrebbe dire ad una “prima danzatrice”.

Ciò che mi ha turbato è stato sentire nelle sue parole, durante il dibattito, una sorta di accanimento verso questa danza da cui proviene, quella classica, che mi ha fatto leggere lo spettacolo come una sorta di critica alla danza piuttosto che l’espressione di un’esigenza artistica; ma forse questa impressione è stata anche dovuta alla stretta focalizzazione sulla danza e sul mondo della danza e sulla storia della danza che la critica Rossella Battisti ha tenuto per tutta la durata dell’incontro.

Gabriele E.
Osservatorio critico Roma2



Statuaria in movimento

“L’arte del mimo è arte del movimento corporeo.
L’arte della danza, pure.  /…/
La danza è un’evasione, il mimo un invasione.
Il danzatore non è neppure danzante, è danzato. Non trasporta niente, neanche il proprio corpo; è trasportato dal corpo, che è trasportato dalla danza.
L’operaio, al contrario, comanda a se stesso il movimento che gli è stato comandato. Il ritmo della danza è un vento che la spinge e il ritmo del lavoro è un respiro che il lavoro spinge.
Il mimo fa il ritratto del lavoro, la danza il ritratto della danza, perché chi danza sulla scena, danza al di là del suo bisogno. Quindi soffre. Traduce i movimenti naturali della danza istintiva in movimenti anti-naturali. Quindi soffre. Distende un sorriso sul suo dolore. Ma perché distende un sorriso sul suo dolore, se non in ricordo del suo modello, che è gioia che fiorisce in sorriso?”

C’è chi, ancora oggi, tende a separare e contrapporre mimo e danza dimenticando forse un po’ troppo rapidamente i contatti e le reciproche influenze dirette e indirette che invece le due discipline sorelle ebbero. Certo, ciascuna nel proprio specifico linguaggio, ma esse non mancarono, e non mancano  tutt’oggi, di inseguire tuttavia percorsi di ricerca che, a volte sotterranei, attingono a linfe vitali comuni.

“A guardar la danza come il teatro
si fa peccato!”
Si sentenzia a voce grande
che per l’aere poi s’espande
la visione in estensione
d’un’arte panoramica
sospesa e assai dinamica
che il cinema ha sfiorato
nel catturar l’ascesi
della sua metacinesi
svelando in movimento
quel che l’atto porta dentro
come casuale trasmissione
di programma in televisione.

Poi pronto s’alza il Timpano
che squilla quale Zampano/(ò)
e squaglia l’opinione
in spot neurovisione
e ad ascoltarla bene
il riso non si trattiene
nella semplice scoperta
del flash in macchinetta.

Lui passa tra le nuvole
mirandole ormai stufe
dei mille pollicini
che le scambian per gattini
e dubbioso
e generoso
lui Arsenio
si fa genio
e accoglie la proposta
del ciel che si rivolta
e grida alle sue ciurme
di finirla col multiforme
che una nuvola
chissà
sempre quella rimarrà.

La danza
è un po’ così
tutti dicono di sì
se lo sguardo s’è riempito
lo spettacolo è gradito
della forma cinestetica
non dia conto la poetica
che soccorre libertà
figlia di curiosità.

La danza di Alessandra Sini è sembrata la proposta di cogliere e raccogliere dal vaso di una Pandora democratica e freudiana quel che più ricordi all’occhio di colui che scruta la reminescenza atavica di un qualche quid smarrito nel tempo.
Un estratto in cui “Una”, nella realtà della sua completezza, prevede un dialogo fisico costruito sulla presenza di “un’altra”, assente nel contesto odierno, la cui mancanza non stenta a farsi materia lasciando libero il pensiero di guardare al vuoto di una metà che comunque si percepisce quale luogo occupante energia viva. Sua sorella: il completamento di un cerchio che la Sini percorre di fatto, sola, ma sicuramente accompagnata in una gestualità carica di tensione nella ricerca del tassello mancante.
E mi pare di poter dire che nella ricerca di Alessandra Sini, nel suo insistere sulle posizioni richiamanti la statuaria, per esempio, risiede parte del lavoro compiuto dal padre del mimo moderno. In un susseguirsi di posizioni ove la Sini ha marcato l’idea della mobilità dell’immobile, restituendo attraverso la tensione definita di una carne che grazie ad una formazione severa “arriva a fare cose che non tutti hanno la capacità di fare” l’autrice di “Una”, volontariamente o meno, mi sembra abbia riportato in vita quel che Decroux ha tentato di ricamare ad arte sul corpo del mimo, partendo dalla convinzione che la statuaria fosse l’esempio perfetto da seguire e da scavare sulle tensioni e sulle intenzioni fisiche del movimento.
Trovare e restituire una dinamica all’immobilità della materia.

Nella sua entrata scenica attraverso il primitivismo curvo di una camminata ci si convince che risieda molto più di quel che s’è visto, e viene la curiosità di seguirla ancora nei percorsi atavici trasferiti su chissà quale nuova era. Ma soprattutto venga “il nuovo” che, come la Sini ha cercato di far capire, è stato straziante per lei ricostruire a partire da un corpo segnato profondamente dalle prime esperienze di danza classica, ma che è giunto fino all’indipendenza artistica che ora le dà un voluto, agognato, filo da torcere.

Mea culpa a nome di tutto dell’osservatorio critico se per “prendere” senza “pretendere” si è scivolati in un silenzio che a posteriori ci si sforza di riempire nella speranza che prosegua un dialogo con tutti gli occhi che, come i nostri, si sono affacciati sul palco dell’Auditorium Universitario per prendere parte attiva a questa preziosa e rara iniziativa.

Maria Rita Di Bari
Osservatorio critico Roma2

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