martedì 3 maggio 2011

CONTRIBUTI E APPUNTI



Ha senso fare teatro?

Ormai tempo fa all'incontro di Novo Critico con Silvia Garbuggino e Gaetano Ventriglia una persona si è chiesta: "Ma ha senso fare teatro?". Vedo Gaetano ed Elvira Frosini scuotersi e rispondere quasi all'unisono: "certo che ha senso!"
La domanda ragionata, ma del tutto istintiva, ha corroso il pensiero alla ricerca di una risposta.

Pensiero corroso:
Garbuggino e Ventriglia hanno montato per noi con profonda educazione due frammenti di un loro spettacolo: una scena presa dai "Fratelli Karamazov" di Dostoevskij a cui seguiva lo scketch della metempsicosi. La sensazione che abbiamo avuto è quella di essere raccolti tutti, artisti-critici-pubblico, intorno a una tomba sulla cui lapide c'era scritto TEATRO.
Non vogliamo sapere l'ora del decesso e se poi c'è veramente stato, ma puntualizzo che affermare la morte del teatro equivale a dire che è morto l'Uomo. Non posso giurare di vedere intorno a me degli uomini più che dei morti viventi, ma se così fosse?
Poi quella sera è intervenuto Ventriglia, che per tutta la prima scena era rimasto in silenzio, dando il suo "stacco" ironico-straniante. Si entra nella metempsicosi.
L'elaborazione teatrale del lutto passa per l'ironia cattiva di una storiella secondo cui da morto divieni escremento. In effetti la reincarnazione di un morto a cosa porta?
 Un ghigno di sorriso appare sul viso, abbiamo elaborato il lutto senza muoverci da quella tomba.

Alla domanda posta avrei dovuto reagire come gli artisti, scattando. Invece ho pensato a lungo finchè non si è parlato di fare un Teatro che sia CONTRO. E allora ha trovato senso essere artista, essere critica, essere pubblico.






 Critico, togli l'io!

La provocazione è stata: il critico deve togliere l'io.
Va bene, tolgo l'io. Ma tolgo le mie analisi, tolgo il mio spirito di osservazione, rado al suolo le emozioni che provo, strappo via tutto quello che vede il pubblico e con esso anche le mie conoscenze.
Mi tolgo, mi tolgo. Resto a casa.
Dovrei vedere solo una struttura scarna tirata su dall'artista per capire se è o no un spettacolo da vedere? Dovrei stilare una scheda tecnica dello spettacolo. Ecco, questo sì. Ma già esiste chi lo fa.
Sarebbe bello rispondere a questa provocazione dicendo così all'attore che l'ha posta: ci sei troppo TU nello spettacolo.  Ma quale critico affermerebbe questo?
Però la provocazione ha la verità dalla sua parte. E' talmente vera da divenire luogo comune.
Finchè si tratta di spettacoli che hanno largo successo, non si discute, il critico si preoccupa del pubblico sulle strutture dello spettacolo, ma quando l'artista sceglie una strada diversa, di un teatro contemporaneo, il critico che deve fare?! Preoccuparsi di un piccolo numero di spettatori o gettarsi sullo spettacolo con tutto l'io possibile cercando di essere attivo?
Dispiace quasi dirlo ma se si usa la parola critico, bisogna togliere tutte le altre tipo: attivo, militante...e metterne una sola: creativo. Tanto un'artista si lascia assorbire da arti, società....per condensare in un distillato lo spettacolo, quanto il critico assorbe per creare il suo testo, la sua critica.
Altrimenti chiamiamolo CRONISTA, rimanendo nella falsa idea che anche un cronista esclude l'io.


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