giovedì 14 aprile 2011

MATERIALI E RIFLESSIONI - Nono incontro

LE RIFLESSIONI CRITICHE DI RODOLFO SACCHETTINI

Ambra Senatore: a passi di ironia

Nell’incontro pubblico con Ambra Senatore, dopo la sua breve azione coreografica realizzata con Caterina Basso tratta dall’ultimo spettacolo Passo, sono emerse alcune questioni riconducibili in parte al tema dell’ironia. Che cos’è l’ironia? Come funziona? Che tipo di relazione si innesca con il pubblico? E soprattutto come viene oggi trattata l’ironia, che uso se ne fa e che implicazioni comporta? La sensazione è che in questi ultimi decenni all’ironia si ricorra in maniera sempre più diffusa, come fosse un salvagente. Da strumento di intelligenza e di analisi pare allora trasformarsi in arma, dispiegata per salvaguardare la superficie delle cose, per bloccare slanci o desideri di profondità. Invece di stimolare i pensieri, spingerli sempre più avanti, l’ironia di oggi, spesso brutale e rozza, tarpa le ali, legittima la stupidità. Ma questa non è più ironia evidentemente, bensì la sua degradazione. Di questi tempi, nelle conversazioni, l’”ironia” cialtrona fa ovunque la sua comparsa come un disco rotto, tramuta la riflessione in barzelletta, semplifica, rende tutto ammissibile, detta il ritmo dei dialoghi, dando vita a tratti a una sorta di contrappunto del consenso come fa la risata registrata in una sit-com. L’ironia cialtrona-televisiva tramuta immediatamente la critica in chiacchiera e di questi tempi non c’è da stupirsi: è cosa impervia essere rigorosi, prima di tutto con noi stessi, sforzandosi di distinguere il più possibile la natura di ciò che si ha davanti. Lavorare seriamente con l’ironia è insomma molto difficile e ci vuole una certa grazia, quella del saper stare dentro e fuori le cose, che, molto spesso in scena il “corpo”, col suo strenuo esercizio di una qualità, la presenza, riesce a mantenere meglio rispetto alla “parola”, che appare spesso davvero usurata e consunta, difficile da rianimare.
Cercare di instaurare una relazione “ironica” tra scena e pubblico significa tenere in conto contemporaneamente più livelli di significato; se è vero che l’ironia – semplificando al massimo – è l’affermazione di una cosa per intenderne un’altra (solitamente il suo opposto), il contratto con lo spettatore andrà sempre disegnato in maniera sottilmente ambigua. Guardiamo a cosa accade nella performance della Senatore, ad esempio. A quale livello qui dobbiamo attenerci o, in altre parole, che cosa si sta dicendo su quella scena?  Non si tratta certo di far la morale o di dare dei “messaggi”, ma qualcosa di piuttosto chiaro viene “detto”, e ciò avviene tramite il linguaggio del corpo. Le due danzatrici danno vita nell’arco di pochi minuti e con una certa grazia a una partitura di gesti che paiono continuamente giocare sulla sorpresa. Sembra quasi che le danzatrici si sorprendano dei propri gesti, come “costrette” a eseguire una coreografia, senza aver però la certezza di come questo gioco andrà a finire. Basso e Senatore, con la medesima parrucca e gli stessi abitini, si presentano come due “sorelline”, o addirittura due cloni, in gara forse per il raggiungimento del fantomatico modello comune. Una certa idea di danza, una certa estetica, un certo modo di ammiccare al pubblico funzionano da modello omologato e omologante al quale inavvertitamente si prova a resistere (da parte delle performer, ma anche del pubblico). L’errore e alcune emozioni umane (l’imbarazzo, il pudore, la sgangheratezza) diventano allora gli antidoti a degli stereotipi che imprigionano il corpo, lo bloccano e lo normalizzano. In questa dinamica la coreografia della Senatore prova a costruire non delle vere e proprie narrazioni, ma delle micro-storie, mirco-climi emotivi, riconducibili a un universo umano sghembo e in difficoltà, ma sostanzialmente “simpatico”. Perché simpatico? Perché passibile di identificazione: dietro alla perfezione, fredda e meccanica, del modello si compie lo scarto scivoloso dell’ironia che nasconde e rivela a tratti l’ombra della normalità. Una normalità, che si affanna, più fragile e più calda, e che alle prese con la sua complicata e viva esistenza, può mostrarsi come “eccezione” e finalmente riguardarci.
Che tipo di evoluzione può avere questa dinamica, questa applicazione così corretta di un dispositivo retorico molto semplice? Le strade sono ovviamente tante e inaspettate, e tante le possibili derive, ma dal dialogo con la Senatore emerge un’interessante necessità di continuare a costruire spessore intorno a queste “figure”, forse necessariamente nate in una sorta di scarto bidimensionale, ad andare più a fondo nel ritrarre la “varia umanità”; tramite il linguaggio della danza raccontare i tic, le smorfie, le irregolarità dell’essere umano. È forse proprio in questo scivolamento di piani, dal lineare al franto, che quella ironica diventa una possibile chiave per scandagliare così anche il versante dell’ombra, affondare i propri passi nel “grottesco” – oggi poco e male frequentato dal teatro – per accettare l’enigma della “mostruosa normalità”, quella delle nostre facce e dei nostri corpi.

Rodolfo Sacchettini
19 novembre 2010 


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