sabato 4 dicembre 2010

LETTERA APERTA DI KATIA IPPASO

Lettera aperta agli amici critici


Cari amici, scrivo queste righe di getto perché ho sentito che ieri sera è accaduto qualcosa. L’occasione era la presentazione del libro di  Andrea Porcheddu e Roberta Ferraresi, “Questo fantasma, il critico a teatro”. Non un libro su Wikileaks. Non un instant book su Rudy nel letto di Berlusconi. No, un libro su chi scrive di teatro. Il critico di teatro, che Andrea battezza “il fantasma”. Ebbene, attorno a questo fantasma ieri si sono mosse delle energie che non possono andare trascurate. Tanto per cominciare, tra il pubblico c’erano almeno altri dieci fantasmi. Dato straordinario, per chi conosce l’inerzia, l’antagonismo e la supponenza della nostra classe critica. Non solo c’eravamo, ma abbiamo parlato tutti. Ci siamo esposti. Ci siamo sentiti meno soli. C’eravamo per il libro di Andrea e perché, in vario modo, avevamo preso parte agli incontri di Novo critico, questa “stravaganza” inventata da Elvira Frosini, che contamina la parola “critico” con un sincretismo: un uovo (quindi la fertilità) nuovo (giovane) che diventa subito esca per il lavoro dell’immaginario.

Molti di noi si conoscono da tanti anni e hanno passato momenti difficili e spesso disarmonici. Ciascuno di noi ha lottato non soltanto per un’idea ma per tentare di farcela, per non soccombere, per non cambiare strada. In questa lotta per la sopravvivenza abbiamo perso di vista l’obiettivo. Ho sentito spesso dire che gli anni Novanta erano anni migliori rispetto ad oggi. Non è vero. Questi sono anni migliori. Perché nel frattempo tutto quello che doveva sgonfiarsi si è sgonfiato, quello che doveva cadere è caduto. Ed oggi siamo magnificamente vuoti, anemici, più umili, e bisognosi di parole nuove.
Siamo in un momento di passaggio. Forse Berlusconi uscirà di scena, ma con lui non sparirà il berlusconismo. Ne può uscire ammaccato, con qualche graffiatura, con un sorriso meno smagliante, leggermente più cereo, un po’ invecchiato, ma il fantoccio del signor B. ormai è ben piantato nel nostro immaginario, perché non l’abbiamo subito ma creato, gonfiandolo a dismisura, ebbri di felicità.
Nessuno ci ha impedito di fabbricarci il nostro Ubu Re, il padrone-servo dei nostri bassifondi onirici. Non ce lo ha impedito la Sinistra, che si è limitata ad alzare la bacchetta dei maestri saccenti tutte le volte che gli  scolari svogliati diventati presidi (è chiaro che tutto il berlusconismo ha significato la rivincita degli ultimi della classe) si prendevano eccessive libertà. Non ce l’ha impedito l’Europa e neanche l’America né il mondo tutto, che ha sfilato col G8 all’Aquila, partecipando al più nefasto banchetto della storia italiana, pascendosi dei resti dei cittadini abruzzesi massacrati da troppi terremoti. Non ce l’ha impedito il nostro oscuro senso del pudore che è sintomo di una doppia morale ben radicata nei nostri animi.

Perché parlo qui di Berlusconi? Perché è di questo che dobbiamo occuparci. Dobbiamo occuparci di chi ci governa, perché noi non siamo migliori, e quelli che si autorappresentano come migliori a volte lanciano dei messaggi occlusivi, monologanti, convinti di incarnare il bene. Antonio Audino parlava di “Vieni via con me”. Ne parlava con disagio, ed è proprio dal disagio che ho avvertito nelle parole di Antonio che dovrebbe nascere una nostra assunzione di responsabilità.
Ma chi siamo noi? Cosa vogliono “questi fantasmi”, cosa cercano, cos’hanno da dire vent’anni dopo a quelli che vengono ora? E cosa hanno da dire i giovani critici (che magari fantasmi ancora non si sentono) a noi e agli artisti con cui sono chiamati a dialogare?
Claudia Cannella chiudeva il suo discorso con una terrifica domanda: Siamo sicuri di essere migliori di quelli che ci hanno preceduto, o alla fine non desideriamo altro che sostituire i baroni della critica che ci hanno mangiato vivi (o ci siamo fatti mangiare vivi)? Dobbiamo forse aspettare la loro morte? Angosciante ipotesi, indegna di persone che usano la scrittura e il pensiero per vivere.
Lo ha detto tante volte Andrea Porcheddu, con una sincerità che non era difficile leggergli nel volto: abbiamo il compito di dire qualcosa agli artisti e a quelli che verranno. Torniamo ad usare la scrittura critica senza vergogna, con competenza, con giudizio. Accanto a chi il teatro lo fa, ma non confondendoci con gli artisti, che non hanno peraltro nessuna voglia di mischiarsi a noi. Viaggiamo viaggi paralleli, interroghiamoci, non tiriamoci mai indietro.
Massimo Marino ha fatto sapere che il libro gode di ottima salute. Sì, persino i libri di teatro stanno bene e qualcuno li legge persino. Mi permetterei di aggiungere che non soltanto il libro di teatro, ma anche l’essere umano sta tornando “di moda”.

Se la videocrazia ha potuto assestarsi come modello vincente in questi ultimi vent’anni, è perché si è operata una lenta ma irreversibile trasformazione dell’immaginario.
Vogliamo lasciare le cose come stanno? Non è forse venuto il momento di uscire dalla nostra miserevole  nicchia per occuparci di quello che è accaduto e di quello che sta accadendo attorno a noi e dentro di noi? Non sarebbe bello contribuire a fabbricare un nuovo immaginario, presentandoci l’uno all’altro come comunità?

Sarà importante testimoniare la nostra “presenza in vita” prima che la nostra presenza come critici.
I tempi sono maturi. Se l’essere umano sta tornando di moda - dopo anni di mortificazione, di simulacri, di finzioni -, allora anche noi, soprattutto noi che ci occupiamo di corpi parole e oggetti vivi, abbiamo il dovere di misurarci con quel che resta dell’umano.
Non si tratta solo di scrivere delle belle recensioni (meglio se sono belle, e basta con le involuzioni: hai ragione Claudia), quanto di “ficcarci nel cranio del mondo”.
E’ un momento di cambiamento politico. Ma c’è poco da festeggiare se permettiamo che l’opposizione in Italia si faccia “solo” in tv, che la tv divori le forme del teatro e ogni possibilità di pensiero in movimento. Per quanto innovativa, la tv d’opposizione è pur sempre una grande macchina di spettacolo, con le sue regole mute, autoreferenziali, incapaci di sostenere la bellezza di un pensiero in continua rivolta, capace, al contrario, di celebrarne ad ogni nuovo passo il funerale.
Se il dissenso confluisce, con tutti i suoi rami tagliati male, dentro la grande macchina di produzione delle idee che si fabbricano sempre altrove, non ci resterà che applaudire un giorno l’avvento di un nuovo Ubu Re. In caso contrario, ci ritroveremo sempre più soli e incavolati a tormentarci nell’ombra.
Noi ci occupiamo di teatro. Il teatro è fatto di esseri viventi. Il teatro è pensiero in movimento. Lo dice Massimo, lo hanno ripetuto in tanti: non ci resta che pensare. E soprattutto uniamoci, dialoghiamo, non disperdiamo  le energie. Non dobbiamo essere per forza d’accordo sulle idee, ma almeno stringiamoci attorno a delle idee che siano tali. Critici, scrittori, attori, registi, spettatori, tutti, usciamo allo scoperto. Come è successo l’altra sera, dove, una volta tanto, non abbiamo fatto una riunione di condominio, ma abbiamo registrato i segnali di bellezza ma anche quelli di allarme. Non illudiamoci che, siccome l’abbiamo sfangata una volta due volte infinte volte, la sfangheremo ancora. Il pericolo è reale. E perdonatemi questa citazione da Pasolini: “Lo sanno tutti che io le mie esperienze le pago di persona. Forse sono io che sbaglio. Ma io continuo a dire che siamo tutti in pericolo”.
Io la penso come Simone Nebbia: “Scrivere è conoscere”. Il resto non dovrebbe importarci.

Katia Ippaso
Roma, 4 dicembre 2010

8 commenti:

  1. Grazie di questo richiamo all'agire attraverso il pensiero (forse un'azione che non da risultati subito tangibili e perciò demodé), e al dialogo. Aggiungerei l'importanza dell'ascolto, implicita nel dialogo, prioritaria se non altro all'affermazione del proprio giudizio. Ascoltare che sia condivisione, non solo di parole.

    Chiara Pirri

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  2. Cara Katia, cari critici, cari teatranti e spettatori che eravate ieri a Roma o che leggete queste righe: bella la lettera aperta, bella la chiamata alla nostra "presenza in vita", al nostro impegno nella vita del paese, per la conoscenza, per il dibattito come dialogo, analisi, accrescimento, mutazione. Ce n'è bisogno. Tutti noi lo facciamo già, personalmente, in modi diversi.
    L'incontro di ieri spinge a cercare altri momenti di incontro,di dibattito, di approfondimento, di ricerca; altri momenti di unione.
    Un convegno? Tanti 'Novo critico' in luoghi diversi (credo sia stato importante il dialogo tra chi il teatro lo fa e chi lo guarda, professionisti della critica, studenti e spettatori)? Un luogo dove raccontarci cosa facciamo, cosa pensiamo (critici, studiosi, artisti, spettatori, organizzatori...)? Un metaspazio dove mettere in comunicazione tutti i nostri link? Una super o meta rivista, un super o meta spazio web che crei rete tra tutti i possibili spazi individuali e di gruppo, un elenco di link negli spazi dei singoli...
    Massimo Marino

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  3. Fabio M. Franceschelli5 dicembre 2010 alle ore 16:40

    Cari critici, auguri e complimenti per questa aria di rinascimento che tira dalle vostre parti, ormai da circa un paio d'anni. Se mi posso permettere un consiglio, proprio io che per alcuni anni mi sono divertito a frequentare entrambe le discipline, quella dell'artista e quella del critico, e che da quella doppia frequentazione ho tratto tanto in termini di crescita umana e professionale, ecco, il consiglio sta nelle seguenti parole di Katia Ippaso: "Accanto a chi il teatro lo fa, ma non confondendoci con gli artisti, che non hanno peraltro nessuna voglia di mischiarsi a noi". Reciproco rispetto, reciproca curiosità ma anche sana distanza, ché il conflitto d'interessi berlusconiano è solo la punta di una piramide sommersa fatta di una miriade di più piccoli conflitti d'interesse. La strada per l'autostima, per la reciproca stima e per l'indipendenza è solo questa, difficile da seguire perché richiede coerenza ogni giorno anche nelle cose più piccole, ma obbligata.
    Buon Lavoro
    F.M.F.

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  4. Ho appena letto la tua lettera!
    purtroppo non sono stato all'incontro di cui parli, peccato.

    ho letto e la tua passione mi e' entrata nella carne.
    parlo di passione, perche' e' questo che ci tiene vivi e che ci dovrebbe sempre muovere!
    artisti, critici, scrittori...tutti

    Non siete i soli a sentirvi dei fantasmi
    anche a noi artisti spesso accade.

    come possiamo scrollarci da dosso il mantello che ci rende invisibili?
    non lo so.

    sicuramente mantenendo alta la passione e la qualita' del nostro fare
    e continuando a creare occasioni di confronto e dialogo.

    grazie Katia.

    antonio tagliarini

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  5. Mentre arrivava la lettera e poi i commenti, stavo già scrivendo quest'articolo...

    http://www.teatroecritica.net/2010/12/si-scuotono-ancora-le-catene-di-questo-fantasma-il-novo-critico/

    Questo lasci capire l'urgenza di tutti, quella "passione che entra nella carne". Come dice Antonio qui sopra di me.
    Un abbraccio
    Simone Nebbia

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  6. Mi piace, mi piace tantissimo quello che leggo qui sopra. Mi piace questa analisi calata nella realtà nostra, italiana, quotidiana perché coglie nel pieno il nocciolo della vera questione primaria del teatro, della sopravvivenza dell'arte performativa, dello scrivere e del fare teatro oggi... ovverosia: il teatro è prima di tutto umano, è cosa umana e questa caratteristica imprescindibile è ciò che più di ogni altra lo ha reso invisibile, moribondo ed estremamente faticoso nel suo sopravvivere in questi ultimi anni, anni nei quali culturalmente e socialmente parlando, si è celebrato solo il produttivo esteriore non-umano che nulla ha a che fare con il teatro. Da artista mi piace che sia stata una critica a scrivere tutto questo perché significa che anche se con strumenti e linguaggi diversi guardiamo nella stessa direzione: quella appunto dell'arte del teatro calata nell'umano e dell'autenticità e unicità dell'umano calata nel Teatro, meccanismo artistico e non solo questo indispensabile per una società culturalmente sana, di valore ed evoluta. E allora mi accodo al richiamo all'azione e al riconoscimento artistico, competente ed umano, perché così lo leggo, perché questo desidero da parte della generazione teatrale dell'oggi.
    Grazie Katia
    Chiara Candidi

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