CONTRIBUTI E APPUNTI



IN QUESTA PAGINA I COMMENTI, LE OSSERVAZIONI, I CONTRIBUTI CRITICI E GLI APPUNTI INTORNO A NOVO CRITICO
sono pubblicati anche nei post : SPUNTI E APPUNTI


Risposte e commenti alla 
Lettera aperta di Katia Ippaso agli amici critici


Anonimo ha detto...
mah...
Anonimo ha detto...
Grazie di questo richiamo all'agire attraverso il pensiero (forse un'azione che non da risultati subito tangibili e perciò demodé), e al dialogo. Aggiungerei l'importanza dell'ascolto, implicita nel dialogo, prioritaria se non altro all'affermazione del proprio giudizio. Ascoltare che sia condivisione, non solo di parole. Chiara Pirri
Massimo Marino ha detto...
Cara Katia, cari critici, cari teatranti e spettatori che eravate ieri a Roma o che leggete queste righe: bella la lettera aperta, bella la chiamata alla nostra "presenza in vita", al nostro impegno nella vita del paese, per la conoscenza, per il dibattito come dialogo, analisi, accrescimento, mutazione. Ce n'è bisogno. Tutti noi lo facciamo già, personalmente, in modi diversi. L'incontro di ieri spinge a cercare altri momenti di incontro,di dibattito, di approfondimento, di ricerca; altri momenti di unione. Un convegno? Tanti 'Novo critico' in luoghi diversi (credo sia stato importante il dialogo tra chi il teatro lo fa e chi lo guarda, professionisti della critica, studenti e spettatori)? Un luogo dove raccontarci cosa facciamo, cosa pensiamo (critici, studiosi, artisti, spettatori, organizzatori...)? Un metaspazio dove mettere in comunicazione tutti i nostri link? Una super o meta rivista, un super o meta spazio web che crei rete tra tutti i possibili spazi individuali e di gruppo, un elenco di link negli spazi dei singoli... Massimo Marino
Silencio ha detto...
dove posso firmare? Sergio LG
Fabio M. Franceschelli ha detto...
Cari critici, auguri e complimenti per questa aria di rinascimento che tira dalle vostre parti, ormai da circa un paio d'anni. Se mi posso permettere un consiglio, proprio io che per alcuni anni mi sono divertito a frequentare entrambe le discipline, quella dell'artista e quella del critico, e che da quella doppia frequentazione ho tratto tanto in termini di crescita umana e professionale, ecco, il consiglio sta nelle seguenti parole di Katia Ippaso: "Accanto a chi il teatro lo fa, ma non confondendoci con gli artisti, che non hanno peraltro nessuna voglia di mischiarsi a noi". Reciproco rispetto, reciproca curiosità ma anche sana distanza, ché il conflitto d'interessi berlusconiano è solo la punta di una piramide sommersa fatta di una miriade di più piccoli conflitti d'interesse. La strada per l'autostima, per la reciproca stima e per l'indipendenza è solo questa, difficile da seguire perché richiede coerenza ogni giorno anche nelle cose più piccole, ma obbligata. Buon Lavoro F.M.F.
antonio tagliarini ha detto...
Ho appena letto la tua lettera! purtroppo non sono stato all'incontro di cui parli, peccato. ho letto e la tua passione mi e' entrata nella carne. parlo di passione, perche' e' questo che ci tiene vivi e che ci dovrebbe sempre muovere! artisti, critici, scrittori...tutti Non siete i soli a sentirvi dei fantasmi anche a noi artisti spesso accade. come possiamo scrollarci da dosso il mantello che ci rende invisibili? non lo so. sicuramente mantenendo alta la passione e la qualita' del nostro fare e continuando a creare occasioni di confronto e dialogo. grazie Katia. antonio tagliarini
simone ha detto...
Mentre arrivava la lettera e poi i commenti, stavo già scrivendo quest'articolo... http://www.teatroecritica.net/2010/12/si-scuotono-ancora-le-catene-di-questo-fantasma-il-novo-critico/ Questo lasci capire l'urgenza di tutti, quella "passione che entra nella carne". Come dice Antonio qui sopra di me. Un abbraccio Simone Nebbia
Anonimo ha detto...
Mi piace, mi piace tantissimo quello che leggo qui sopra. Mi piace questa analisi calata nella realtà nostra, italiana, quotidiana perché coglie nel pieno il nocciolo della vera questione primaria del teatro, della sopravvivenza dell'arte performativa, dello scrivere e del fare teatro oggi... ovverosia: il teatro è prima di tutto umano, è cosa umana e questa caratteristica imprescindibile è ciò che più di ogni altra lo ha reso invisibile, moribondo ed estremamente faticoso nel suo sopravvivere in questi ultimi anni, anni nei quali culturalmente e socialmente parlando, si è celebrato solo il produttivo esteriore non-umano che nulla ha a che fare con il teatro. Da artista mi piace che sia stata una critica a scrivere tutto questo perché significa che anche se con strumenti e linguaggi diversi guardiamo nella stessa direzione: quella appunto dell'arte del teatro calata nell'umano e dell'autenticità e unicità dell'umano calata nel Teatro, meccanismo artistico e non solo questo indispensabile per una società culturalmente sana, di valore ed evoluta. E allora mi accodo al richiamo all'azione e al riconoscimento artistico, competente ed umano, perché così lo leggo, perché questo desidero da parte della generazione teatrale dell'oggi. Grazie Katia Chiara Candidi




Ha senso fare teatro?

Ormai tempo fa all'incontro di Novo Critico con Silvia Garbuggino e Gaetano Ventriglia una persona si è chiesta: "Ma ha senso fare teatro?". Vedo Gaetano ed Elvira Frosini scuotersi e rispondere quasi all'unisono: "certo che ha senso!"
La domanda ragionata, ma del tutto istintiva, ha corroso il pensiero alla ricerca di una risposta.

Pensiero corroso:
Garbuggino e Ventriglia hanno montato per noi con profonda educazione due frammenti di un loro spettacolo: una scena presa dai "Fratelli Karamazov" di Dostoevskij a cui seguiva lo scketch della metempsicosi. La sensazione che abbiamo avuto è quella di essere raccolti tutti, artisti-critici-pubblico, intorno a una tomba sulla cui lapide c'era scritto TEATRO.
Non vogliamo sapere l'ora del decesso e se poi c'è veramente stato, ma puntualizzo che affermare la morte del teatro equivale a dire che è morto l'Uomo. Non posso giurare di vedere intorno a me degli uomini più che dei morti viventi, ma se così fosse?
Poi quella sera è intervenuto Ventriglia, che per tutta la prima scena era rimasto in silenzio, dando il suo "stacco" ironico-straniante. Si entra nella metempsicosi.
L'elaborazione teatrale del lutto passa per l'ironia cattiva di una storiella secondo cui da morto divieni escremento. In effetti la reincarnazione di un morto a cosa porta?
 Un ghigno di sorriso appare sul viso, abbiamo elaborato il lutto senza muoverci da quella tomba.

Alla domanda posta avrei dovuto reagire come gli artisti, scattando. Invece ho pensato a lungo finchè non si è parlato di fare un Teatro che sia CONTRO. E allora ha trovato senso essere artista, essere critica, essere pubblico.
 






 Critico, togli l'io!

La provocazione è stata: il critico deve togliere l'io.
Va bene, tolgo l'io. Ma tolgo le mie analisi, tolgo il mio spirito di osservazione, rado al suolo le emozioni che provo, strappo via tutto quello che vede il pubblico e con esso anche le mie conoscenze.
Mi tolgo, mi tolgo. Resto a casa.
Dovrei vedere solo una struttura scarna tirata su dall'artista per capire se è o no un spettacolo da vedere? Dovrei stilare una scheda tecnica dello spettacolo. Ecco, questo sì. Ma già esiste chi lo fa.
Sarebbe bello rispondere a questa provocazione dicendo così all'attore che l'ha posta: ci sei troppo TU nello spettacolo.  Ma quale critico affermerebbe questo?
Però la provocazione ha la verità dalla sua parte. E' talmente vera da divenire luogo comune.
Finchè si tratta di spettacoli che hanno largo successo, non si discute, il critico si preoccupa del pubblico sulle strutture dello spettacolo, ma quando l'artista sceglie una strada diversa, di un teatro contemporaneo, il critico che deve fare?! Preoccuparsi di un piccolo numero di spettatori o gettarsi sullo spettacolo con tutto l'io possibile cercando di essere attivo?
Dispiace quasi dirlo ma se si usa la parola critico, bisogna togliere tutte le altre tipo: attivo, militante...e metterne una sola: creativo. Tanto un'artista si lascia assorbire da arti, società....per condensare in un distillato lo spettacolo, quanto il critico assorbe per creare il suo testo, la sua critica.
Altrimenti chiamiamolo CRONISTA, rimanendo nella falsa idea che anche un cronista esclude l'io.







Addentrarsi (su Esercizi di Rianimazione di Cosentino/Picciotti)
 Addentrarsi.
Cercare, tentare, rischiare, mostrare una prova, un percorso, non un punto di arrivo, ma la volontà estrema di percorrere quella strada e di sperimentare, non già di arrivare a conclusione.
Che forse il punto di arrivo, famosa retorica che ci insegnano non appena approdiamo nel mondo del teatro, non è importante quanto i mezzi e le strade che usiamo e attraversiamo per arrivarci.
E tutto il materiale che si utilizza davvero, concretamente lo ritroviamo lì sulla scena.
E anche l'attore, svestito della sua maschera più forte e compiuta, torna a svelarsi pian piano e si lascia semplicemente trasportare dall'esperimento.
Si lascia condurre in un territorio che nessuno conosce.
Si lascia sedurre finalmente dall'atto puro di fare teatro e di tornare a cercare (come ci insegnava Elsa Morante... Di tornare a cercare).
Per questo ridiamo, ma portandoci a casa il nostro silenzio nella tasca della giacca o intrecciato alla sciarpa.
E ritroviamo una serie di piccoli interrogativi nascosti.
E piccole desolazioni e piccole verità e piccolissime lacrime.
Forse non sappiamo cosa sia accaduto davvero in strada o nella sala pulsante di respiri e di muscoli doloranti, uno accanto all'altro da sentirne quasi il movimento dei pensieri o il flusso dell'attenzione più rilassata. Ma in fondo sappiamo che l'azione più importante che è avvenuta è che c'è qualcuno che si è rimesso in gioco. Che si è messo in discussione e che ha provocato, non tanto il pubblico ma se stesso.
E non intendo la provocazione fino a se stessa che molto spesso ci lascia come una programma di spicciola euforia adolescenziale, ma la provocazione che porta con se una serie di conseguenze. E di effetti.
E soprattutto è avvenuta per la prima volta dopo tanto tempo, la messa in discussione di sè. Sì, perchè quando torni a cercare con la semplicità e la purezza primitive (che si trovano solo quando hai davvero la necessità di trovare qualcosa), davvero ti metti in discussione. Ti devi smontare (come erano fatti a pezzi tuti i materiali usati in scena), devi ricominciare da capo e trattare come massa informe tutto quello che sei.
Per non presentare alla fine dei conti la prossima produzione della compagnia attorno al senso della vita e di questa crisi, ma per approdare al lavoro più profondamente umano di due attori che incontrandosi hanno iniziato un vero lavoro insieme.
Utilizzare la crisi e le incertezze che annebbiano i nostri sensi, e la nostra intelligenza molto spesso, per produrre un nuovo senso, per proporre, stimolare, alleggerire e poi scavare dentro le viscere. Non più dimostrare di essere artisti e per questo superiori nel comprendere che cosa accade nel nostro momento storico, ma essere umani.
Mi piace ripetere la parola semplicemente, perchè è questo ci manca di più: la semplicità.
E invece qualche sera lì è avvenuto un fatto che si può definire (ahimè) straordinario. Siamo tutti tornati bambini. Ma non perchè abbiamo nostalgia del piccolo principe o della favole della buonanotte, ma perchè abbiamo guardato, osservato e ascoltato un intero lavoro senza il giudizio più assoluto di ricchi intellettuali - teatranti - letterati- critici - alto borghesi migliori del resto del mondo perchè ne abbiamo capito le regole, ma solo per accogliere realmente quello che ci veniva offerto: uno scambio, un esercizio e fulminanti punti d vista che possiamo mettere in discussione o utilizzare per renderci conto che tutto quello che sappiamo forse non è tutto. Non ci basta. O dobbiamo usarlo per andare avanti.
Quello che davvero è accaduto seppure per pochi dolcissimi attimi, è prezioso: si parla di umanità. Si parla all'umanità, in diversi sensi.
Sull'arte e sull'accattonaggio. Sul mendicare e sul creare, sul lamentarsi e sul giocare, sulla tenerezza e sulle urla scomposte, sul nostro corpo e su quello di giocattoli,
Ma senza la presunzione nauseabonda di chi sa di aver ammaliato una folla di spettatori (esagero un pò, ma è questo lo spettacolo che mi si presenta da un pò di tempo a questa parte).
Solo con la volontà di affrontare il problema più grande di oggi, e con una risata o una lacrima di commozione o un gesto d'impeto rabbioso o con una carezza delicata, o con un buffo guanto di gommapiuma sulla mano, non tanto risolveremo, bensì riusciremo a individuare la possiblità di creare alternative ai facili isterismi cui siamo tutti facile preda (me compresa).
Ringrazio profondamente Andrea e Francesco, perchè sono convinta di avere imparato qualcosa...
Sto cercando di capire cosa; qualcosa dentro si sta muovendo, sta esplodendo, mi sta esplorando, piano piano emerge, poi si assopisce di nuovo, poi di nuovo forse s'illuminerà, ma sono felicemente convinta di avere assistito ad un piccolo miracolo, in cui si affronta l'umanità, noi che viviamo questo momento storico, sociale, privato, politico, artistico, familiare, naturale.
Si è creata una vera relazione, in barba a tutte le bugie e le strategie che arrangiamo ogni giorno. E noi ne eravamo i protagonisti insieme ai clown che sperimentavano possibilità e respiri.
Semplicemente eravamo parte della storia, come nel mondo là fuori. Mentre le cose accadono noi guardiamo. E mentre noi accadiamo le cose si fermano a guardare.
E tutto non può terminare che un caloroso e sincero grazie.

Chiara Fallavollita
21 ottobre 2010