sabato 30 ottobre 2010

OSSERVATORIO CRITICO UNIVERSITARIO - Quarto incontro

Quarto incontro - 26 ottobre 2010

NOVO CRITICO 2010 : "UNA"
Alessandra Sini incontra Rossella Battisti



ALESSANDRA SINI.
“UNA” SOLA, TANTE MEMORIE


Alessandra Sini scompone il movimento in un fluido libero, senza narrazione. Attraverso l’uso di ogni fibra muscolare indugia su pose statuarie altezzose e un minuto dopo simula una pattinata goffa circolare attorno al palcoscenico. La rivitalizzazione di un’iconografia sedimentata, ripresa esplicitamente dalla statuaria classica e orientale, subisce una distorsione. Questa deviazione dalla norma, intesa come “variazione rispetto alla regola”, provoca spiazzamento nello spettatore. E’ proprio qui che si crea il messaggio, poiché chi guarda si riscopre addosso un vissuto di memorie e riflette su ciò che di esse è importante mantenere o eliminare. Viene a galla quella “metacinesi” di cui parla John Martin, dice Rossella Battisti, secondo cui il movimento è un mezzo per trasmettere messaggi da un individuo ad un altro, tenendo conto di uno sguardo che traduce nel familiare qualcosa di non familiare. In assenza di contenuto narrativo, quindi, lo spaesamento risulta perturbante a livello di linguaggio.

“Una” è estratto da uno spettacolo più complesso, che vede in origine anche la presenza di Antonella Sini, sorella di Alessandra. Due corpi, adesso diventano “uno”. Questa deformazione dal duo al solo, spinge la danzatrice a qualificare lo spazio di relazione che esiste tra sé e le parti del suo corpo, a materializzare il fantasma della sorella attraverso la ricerca nei propri muscoli di una presenza altra. Si tratta di fare un uso coreografico dello spazio, tramite l’empatia e la memoria. L’elemento naturale s’inserisce in questa ricerca, grazie ad un lavoro interno e artificiale fatto per scoprire l’essenza stessa della presenza, quindi un archetipo che parla direttamente a chi guarda, senza il filtro dell’estetica.

La disinvolta capacità di raccordare le immagini, la linearità e la forma attraverso la dinamica, produce nella danza di Alessandra Sini una qualità di movimento riconoscibile, eppure non troppo autoritaria. L’uso di materiali di scarto o “di risulta”, come li chiama l’artista stessa, fanno avvicinare lo sguardo e liberano l’interpretazione. Il doppio allora si materializza nella possibilità di costruire un’altra realtà in scena, uno spazio creato soltanto dal corpo che danza, con sé stesso e con lo sguardo dello spettatore. Un “lasciarsi attraversare in mezzo alla condizione” che Alessandra ribadisce come necessità essenziale nella vita di tutti i giorni e che indica come caratteristica connaturata al corpo contemporaneo. Una danza astratta che riesce a contenere insieme elementi naturalistici e una forma che si tramuta progressivamente in dinamica emozionale.

Francesca Magnini
Osservatorio critico Roma1

SECONDA SERATA: IL VIDEO INTEGRALE

ANDREA COSENTINO, FRANCESCO PICCIOTTI E CLAUDIA CANNELLA
IL VIDEO INTEGRALE




a cura di e-theatre.it

giovedì 28 ottobre 2010

OSSERVATORIO CRITICO UNIVERSITARIO - Terzo incontro


CONTRADDIZIONI IN ERBA - le vere sincronie di errori non prevedibili

Sincronie di errori non prevedibili.
Ma prevista è la previsione che l’errore si paleserà.
Dunque,o ammettiamo che anche il calcolo dell’errore sia errore,o ci pieghiamo al fatto che, di errore, ahi-noi, dell’errore inteso come inciampo nell’ordine costituito del gran creato, quello che scompagina le cose belle e le pone fronte al disordine, con un titolo che preannuncia qualcosa di impreannunciabile, ahi-noi di nuovo, non è aderente parlare.

Se dietro, sotto, più sotto dell’ordine costituito, un tempo risiedeva il grande amico caos, ora, il nostro amico è oramai morto, lasciando posto ad una serie di piani ordinati sui quali abbiamo costruito in maniera rassicurante le nostre caverne accoglienti e sempre più sofisticate.

Personalmente ho avuto l’impressione che i Santasangre non siano abituati ad accogliere di buon grado l’etichetta di alternativi sperimentatori del teatro di ricerca, ma è stato per me impossibile avvertire quanto, al contrario, gli afflati di cui la critica e il pubblico li circonda tendano esattamente a non mancare dal farlo pur mozzicandosi la lingua quando l’istinto si affaccia col suddetto appellativo.

“ALTERNATIVI”.

Bisognerebbe comprendere quali siano i termini di paragone in merito al confronto.
Anche una mela è alternativa ad una pesca in mancanza della pesca.
Un confronto che poggia le sue basi su un’assenza. Brutta partenza. Forse anche un po’ frustrante per una compagnia di “mezz’età”, consolidata da diverso tempo, posta irrimediabilmente davanti alla questione del proprio alternativismo rispetto a qualcosa di cui si suppone che la scena contemporanea sia carente.

Quando è poi la critica stessa a domandare quanto questo fardello pesi sulle direzioni artistiche e sulle sue intenzioni, non fa altro che alimentare la corsa del criceto sulla ruota: sempre la stessa.
E invece di acconsentire alla liberazione di un “gruppo” tuttavia autonomo e cosciente del proprio operato, dalle etichette che le vanno strette, si cimenta in una prova di ostinato luppaggio.


“SOFISTICATI”.
Questo sì.

Sofisticati a tutti i costi. Questo forse.

L’astrattismo è probabilmente pronto a compiere il rischio di seguire un percorso che pian piano porti all’inevitabile scarto del superfluo e all’affinamento di quella minima serie di prospettive ritenute meritevoli di studio forsennato e per questo, messe a punto con la perfezione scientifica d’una passione risolta. Ma le dinamiche artistiche portate in scena dai Santasangre già di per sé vantano un’anima “sofisticata” ancor prima che astratta.
Il rapporto tra teatro e tecnologia, o meglio, la trasfigurazione dell’evento teatrale in un evento multisensoriale, in cui è prevista la scomparsa dell’elemento uomo (o performer che sia) in favore di una materia universale, dalle prerogative non umane ma non per questo prive di un proprio linguaggio comprensibile in primo luogo per l’uomo stesso (poiché è proprio ad esso che si dirige), tutto questo non potrebbe avvenire senza aver sofisticato i propri mezzi espressivi e l’utilizzo degli stessi.
Nulla di diverso da quello che Calvino riconosceva a Leopardi tutto sommato, ritenendo che per esprimersi in modo poeticamente vago, occorre tuttavia una puntuale precisione.

Ed è notevolmente sorprendente scoprire che dietro a questa enorme macchina instancabile fatta di proiezioni, istallazioni video, immagini nel senso scientifico del termine, dunque luce, meccaniche tecnologiche in assenza di volti e men che mai di fonemi sofisticati come le parole, risieda una critica politicizzata nei confronti degli stessi mezzi di cui ci si serve per la messa in scena e per il risultato degli spettacoli o degli esperimenti stessi.

Ma ben istruiti rispetto al prodotto/sintesi della dialettica hegeliana servo-padrone, ci viene il dubbio che per liberarsi di qualcosa, ci si possa incatenare con qualcos’altro.
Dubbio fallibile e poco importante, a mio avviso, poiché tutto quel che conta è che seppur per un tempo breve, si abbia l’impressione che la voce venga fuori direttamente dalla materia, non più dall’uomo, impegnato ora in un sacro e meravigliato ascolto e non nel chiacchiericcio quotidiano ed informe.

Maria Rita Di Bari
Osservatorio critico Romadue

OSSERVATORIO CRITICO UNIVERSITARIO - Terzo incontro


Tutto si è fatto linguaggio

Linguaggio:

Capacità peculiare della specie umana di comunicare per mezzo di un sistema di segni vocali che mette in gioco una tecnica fisiologica complessa, la quale presuppone l’esistenza di una funzione simbolica e di centri nervosi geneticamente specializzati.”
(Dizionario della lingua italiana, Zanichelli, 2004)
Stando alla definizione fornita dal dizionario della lingua italiana Zanichelli,il linguaggio, sembra sfuggire a tutto ciò che non riguardi la semiotica vocale. Ma l’assenza di tale sinestesia, negata appunto dal coinvolgimento di quest’ultimo senso, appartiene effettivamente alla quotidiana comunicazione umana?

I Santasangre sciolgono ampiamente questo nodo nella ricerca e nell’ elaborazione di spettacoli multisensoriali, in cui la musica come le immagini, intrecciate al movimento dei corpi sulla scena, stimolano le capacità percettive dello spettatore nella loro totalità.

Effetti di luce e proiezioni, tracce musicali gestite e manovrate dal vivo,oleografie, immagini in continuo divenire e psichedelici elementi scenici, chiamano lo spettatore ad affinare lo sguardo al di là di una limpida fruizione della scena, ponendolo di fronte ad un processo di sperimentazione linguistica in cui l’intenzione comunicativa si trasferisce da un piano narrativo-descrittivo ad uno poetico-evocatico.

Complicità intellettuale nell’occhio di chi guarda, di chi è in scena con il proprio corpo, di chi lo è con l’espressione di una meccanica d’avanguardia. Nel rapporto dei diversi elementi la scelta dei Santasangre è quella di ridurre al minimo la distanza tra forza meccanica e forza umana, ponendo i due soggetti scenici in una totale condizione d’ascolto l’uno verso l’altro: l’attore dovrà rispettare gli schemi video-illuministico-musicali predefiniti e, a loro volta, gli effetti (gestiti in modo volutamente fallibile sull’onda di una messa in scena dal vivo), saranno pronti a sorprendere l’errore,il ritardo,lo scarto rispetto ad una traccia tutta in divenire.

Detto questo, perché i Santasangre eleggono come nuovo mezzo comunicativo le proiezioni oleografiche e le video-immagini?

Sicuramente la scelta non è di genere sensazionalistico bensì riguarda l’essere figli di una contemporaneità avvezza all’utilizzo e alla fruizione della tecnologia.

L’aspetto peculiare di tale fenomeno teatrale, riscontrabile ad esempio nella trilogia “Studi per un teatro apocalittico”, risiede, da una parte, nell’uso della virtualità come attore sulla scena,dall’altra, nel messaggio critico relativo alla stessa e alla sua demonizzazione.

La macchina, proverbialmente manovrata dall’operato umano, si trova a indossare per la seconda volta i panni da protagonista assoluto portando con sé il ricordo e la reinterpretazione di un futurismo del secolo scorso: a suggerire la suddetta analogia parole distorte e neologismi, ripetizioni meccaniche del gesto fisico, scomposizioni dei piani ottici sperimentati in questo caso per dimostrare una posizione polemica e politicamente opposta rispetto alla precedente.

Agnese Valle, Maria Rita Di Bari
Osservatorio critico Roma2

INTERVISTA DI KLP A SANTASANGRE E ANTONIO AUDINO




a cura di Klp

TERZO APPUNTAMENTO: SANTASANGRE / ANTONIO AUDINO



a cura di Klp

mercoledì 27 ottobre 2010

Il quinto appuntamento in calendario è

Venerdì 29 ottobre ore 21

SPAZIO KATAKLISMA
Via G. De Agostini 79 - Roma (Pigneto)



ELVIRA FROSINI / KATAKLISMA
incontra
MASSIMO MARINO


Nel quinto incontro di Novo Critico:

Primo studio per
DIGERSELZ


un progetto di Elvira Frosini
collaborazione artistica Daniele Timpano
in collaborazione con: Consorzio Ubusette, Antonello Santarelli



Proseguono gli appuntamenti di Novo Critico, incentrati sull’incontro fra critica, pubblico e artisti.
Sarà nello spazio Kataklisma, in zona Pigneto, che Elvira Frosini, performer-autrice-regista della compagnia Kataklisma presenterà, venerdì 29 ottobre, la prima ipotesi della nuova produzione, titolo provvisorio Digerselz.
Primi appunti e prove di lavoro, momentaneamente in forma di assolo, in relazione al tema del cibo come ossessione del nostro tempo. La seguirà in questo percorso Massimo Marino, critico teatrale del Corriere della Sera, sul cui sito gestisce il blog “controscene”, responsabile per il Patalogo delle edizioni Ubulibri della sezione Festival nel mondo, docente presso il Dipartimento di Musica e Spettacolo dell'Università di Bologna.
Il progetto dal titolo provvisorio “Digerselz” si muove in relazione al tema del cibo come ossessione del nostro tempo o, forse, di tutti i tempi. Il cibo come tema politico, quindi, ma anche come insopprimibile azione di sostentamento, pratica culturale massificata, metafora ossessiva, implosione autodistruttiva, eppure pur sempre azione sotterraneamente rituale, legata al nostro rapporto con il corpo, con la morte, con una comunità.
Cibo e senso di colpa, legato all’idea di spreco e alla fame nel modo, il rituale, le diete, i modelli, le ricette, il mito ipocrita del ritorno al cibo sano.
Il progetto prevede nelle prossime fasi il lavoro con ulteriori corpi/performer.


ELVIRA FROSINI performer, autrice, regista, ha fondato la compagnia Kataklisma, con la quale conduce una ricerca sui linguaggi scenici e sul corpo inteso come incrocio di cultura, convenzioni, rapporti di potere, comunicazione, politica. Il lavoro si immerge nella vita e nelle azioni dei corpi come soggetti-oggetti politici, partendo dal corpo e dalle dimensioni simboliche, comunicative, rituali e sociali, inoltrandosi nelle dimensioni del paradosso, del non ovvio, della relazione stretta tra atto-corpo e la visione, e ponendo il problema della rappresentazione. Il lavoro di Kataklisma è non convenzionale, ironico, deformante e procede per visioni, scarti, accumulazioni, sospensioni, accostamenti ed associazioni. Tra gli ultimi lavori Ciao Bella (2010), Sì l'ammore no [in collaborazione con Daniele Timpano] (2009), spettacolo finalista al Premio Tuttoteatro.com per le Arti Sceniche “Dante Cappelletti” 2008. Realizza progetti e performance site-specific in diversi contesti.


MASSIMO MARINO saggista e critico teatrale, si occupa di problemi della scena contemporanea, di metodologie della critica teatrale, di teatro e carcere e teatro e salute mentale. Dal 1998 al 2003 è stato condirettore del festival Santarcangelo dei Teatri. È docente a contratto presso il Dipartimento di Musica e Spettacolo dell’Università di Bologna. Tra le sue pubblicazioni: Lo sguardo che racconta. Un laboratorio di critica teatrale, Carocci; Roma 2004.




ingresso libero su prenotazione


info e prenotazioni: tel 349 2834261
novocritico@gmail.com
novocritico.blogspot.com




martedì 26 ottobre 2010

MATERIALI E RIFLESSIONI - Secondo incontro






















LE RIFLESSIONI CRITICHE DI CLAUDIA CANNELLA

Esercizi di critica su “Esercizi di rianimazione” - Non uno spettacolo, e questo si sapeva, ma neanche uno studio si può definire “Esercizi di rianimazione”, presentato da Andrea Cosentino a Novo Critico 2010. Sembra più un check sugli strumenti che vorrà utilizzare per il successivo lavoro, verificandone l’efficacia nella relazione col pubblico. Ritrovo l’intelligenza bizzarra e i segni tipici del teatro di Andrea (da poco affiancato da Francesco Picciotti): l’importanza degli oggetti e dell’interazione fra loro e con gli spettatori, il pupazzo di Artaud (un alter ego?), i meccanismi della clownerie, il disinteresse verso un racconto lineare (ma attenzione: non verso un’idea più generale di narrazione, checché ne dica lui!) a vantaggio di una sorta di blob situazionista, le citazioni (Buster Keaton) e, ahimè, le autocitazioni... Ho visto un’esercitazione con oggetti messi in relazione fra loro in modo più surreale del solito, ma non ancora un’idea di partenza da sviluppare, un tema possibile che faccia da spina dorsale allo spettacolo prossimo venturo, almeno nella seconda parte, quella mostrata all’interno dello spazio di Kataklisma Teatro. La prima parte, invece, realizzata sul marciapiede antistante, è già qualcosa con una forma più definita. Francesco, seduto per terra, anima il pupazzo di Artaud, mendicante rabbioso che, con voce registrata, chiede denaro in cambio della sua arte. Molto attuale, crudele, politico. Sarebbe bello creare squadre di performer che lo vanno a fare tutti i giorni davanti a teatri e uffici ministeriali! Non so se si possa stabilire un nesso tra le due parti del lavoro di Cosentino-Picciotti. Lo scopriremo alla prossima puntata. Ora tocca ad Andrea (e a Francesco). Buon lavoro!

All’Eliseo, all’Eliseo! - Mentre guardavo il lavoro di Andrea, osservavo anche le reazioni del pubblico: molti ridevano, alcuni in modo eccessivo, quasi anticipando le gag. Ho pensato: vabbè, siamo in famiglia... era netta la percezione di un sottotesto, nella relazione artista-pubblico, che affondava le sue radici in consuetudini e rapporti non occasionali. Troppo facile!, ho pensato perfidamente. Perché non esporre il proprio lavoro anche di fronte a spettatori eterogenei, non solo fan? Da qui il tormentone della serata: come reagirebbe il pubblico del Teatro Eliseo di fronte a tutto ciò? Ovviamente era una provocazione. Ma anche un invito. Dal momento che il lavoro di Cosentino si basa molto, addirittura si modella sull’interazione col pubblico, perché non cimentarsi con spettatori diversi dagli amici e dagli ammiratori? Credo che, soprattutto in questa fase di studio e sperimentazione, proprio dalle situazioni meno prevedibili potrebbero venir fuori materiali interessanti da metabolizzare. E anche a me, come ad Andrea, «non piace l’omogeneità culturale che esiste tra il teatro, in special modo quello di ricerca, e i suoi spettatori. Non mi piace quella complicità predeterminata, come non mi piace in generale l’arte targettizzata» (A. Cosentino, “L’apocalisse comica”, Roma, 2008, Editoria & Spettacolo).

Meglio dormirci sopra - Mi piace l’idea di tirar su una saracinesca e di entrare in un piccolo teatro. Mi piace che si riempia in modo disordinato, come le scarpe lasciate ammassate nell’atrio. Non ero mai stata ospite di Kataklisma Teatro, né mi era mai capitato di dover improvvisare dei pensieri “critici” a caldo, di fronte a un pubblico, dopo aver visto uno spettacolo, o meglio un frammento, un’ipotesi di lavoro... quasi non amo i commenti (pseudo) critici all’uscita di un teatro con gli amici, figuriamoci con spettatori sconosciuti e dopo quella manciata di minuti trascorsi insieme a vedere un misterioso embrione di qualcosa che sarà. Ma proprio per questo ero curiosa di farlo, di mettermi alla prova, di esplorare luoghi e persone poco o per nulla conosciute. Per questa ragione ho accettato, con divertita apprensione, l’invito di Elvira e di Daniele, istintivamente sicura, conoscendoli, che non sarebbe stata una cosa tipo “segue dibattito” di fantozziana-morettiana memoria. In effetti il confronto immediato con gli artisti e col pubblico è stato interessante e vivo, ma più per quello che ho potuto ascoltare che per quel che ho potuto dire. Resto infatti convinta di una mia vecchia idea, fisicamente testata sulla mia pelle: meglio dormirci sopra! Nel senso che preferisco lasciar sedimentare pensieri e riflessioni prima di indossare i panni della critichessa. O forse anche vedere prima il lavoro, per rivederlo poi insieme al pubblico e parlarne tutti insieme. Gli artisti magari lavorano mesi, e poi arriviamo noi critici a liquidare la pratica in poche righe o parole approssimative. Nel bene o nel male. Questo mi fa sentire inadeguata, a volte poco “rispettosa” del lavoro altrui, e continua a non piacermi.

Claudia Cannella

lunedì 25 ottobre 2010

OSSERVATORIO CRITICO UNIVERSITARIO - Secondo incontro

“La cosa più onesta che possa fare è il cretino”

"Io sono un poeta estemporaneo improvvisatore
Imbecille io son
perché?
perché sì. Insisto sul sì; non faccio del male a nessuno se dico di sì;
quante cose si possono risolvere rispondendo di sì; e allora, sì.”


Più stupidi di così si muore.

“Egli divinizza l'imbecillità, e ci sa dare estratti deliziosi d'idiozia concentrata,
sa comporre delle melodie dolcissime di stupidaggini,sa imbastire lirismi sublimi di vuoto.”

Così Mario Dessy scriveva il 21 dicembre del 1920 nell'articolo “Uomini del giorno” dedicato all'arte di Petrolini .
Senza aver qui la pretesa e l'audacia di inoltrarmi in un confronto tra Andrea Cosentino e Ettore Petrolini, mi sembra però utile poter rileggere la seconda serata di “Novo critico,” con protagonista Cosentino e il suo Esercizi di Rianimazione, tenendo presente l'articolo di Dessy , che offre spunti di riflessione in merito alla comicità non -sense .
Perché ridete? Questo ad esordio del dibattito ha chiesto Claudia Cannella a noi tutti lì presenti.
E “Ma perchè ho riso tanto?” suggerisce Dessy agli spettatori di domandarsi , uscendo da teatro dopo aver assistito ad una spettacolo di Petrolini.
E' forte la tentazione di rispondere “Perché si”, la surreale e geniale risposta a tutte le domande che Petrolini ripete nei Salamini. Summa di scempiaggini e di cretineria.
Sarebbe la risposta più opportuna dal momento che, come Dessy sostiene “ [...] la grande comicità di Petrolini è al di fuori del gesto, della smorfia, della truccatura e dell'impostazione più o meno stonata della voce. Sono dei fattori che servono ad ampliare la sua comicità ma non ne sono la fonte. Il motore della sua comicità è racchiuso nel segreto della nuova logica che impone al pubblico e che del pubblico s'impossessa. L'arte e la comicità di Petrolini sono tutta una costruzione al di fuori di ogni logica umana anzi sfidante la logica comune e il comune buon senso”.
E gli Esercizi di rianimazione di Cosentino, sono sostanzialmente una sfida. Sfida che l'attore lancia a sé stesso, al pubblico, al teatro e alla logica.
Poche sono le parole o frasi a cui ricorre, prevale la (anti)-manipolazione, rifuggire dal senso ad ogni costo, di oggetti scelti casualmente (una parrucca , una spugna, pezzi di barbie e bambole, una maschera). Lo vediamo arrabattarsi sul palco, senza una struttura precisa, come da sua stessa ammissione, è un gettarsi. E' il gesto artistico ad essere prioritario, la sua effettiva esecuzione e le modalità hanno minore importanza. Non c'è nulla da analizzare. C'è un attore, ma soprattutto un pensatore e un teorico, che vuole sperimentare sfruttando l'occasione di un pubblico non pagante, e quindi anche più disponibile ad uscire dalla sala, perché no?, insoddisfatto.
Si sperimentano pensieri e non forme. E il tentativo è a tal punto ardito che una paperella e una gamba di barbie più in là c'è l'abisso.
In fondo Cosentino corteggia e circuisce un vuoto. E' un adulto con una trombetta che va in bici senza mani sul limitare di un pozzo. Non c'è alcun motivo apparente perché questo avvenga, ma rimane “la cosa più onesta che possa fare”. E noi lì che si ride di un riso smorzato. Prorompe improvviso, sottratto alla coscienza, e subito raggelato dalle redini della razionalità.
Questo è possibile perché è la performance a stabilire le regole nel momento stesso in cui accade. Il rapporto col pubblico viene ricercato ma continuamente e volutamente messo in discussione. Si è distanti da quella complicità a priori tra pubblico, di nicchia e intellettuale, e artista, tipica del teatro di ricerca.
Sul pubblico italiano degli anni '20 , Dessy si esprime in questo modo:
“Perchè il pubblico italiano è persuaso che certi valori artistici, nel teatro siano monopolizzati unicamente da coloro che recitano il dramma o la tragedia, o tutt'al più da quegli attori, comici sì, ma che si producono in vere e proprie commedie serie, in fondo ben costruite. Cosicchè è disposto a chiamare artista un mediocrissimo attore che recita una tragedia in costume o piuttosto che riconoscere essere le smorfie, i lazzi, e le invenzioni di Petrolini su un piano altissimo di arte.”
La proposta di Claudia Cannella a Cosentino di provare a Rianimare il pubblico dell'Eliseo, pare confermare che lo scenario sia mutato di poco.
E l'impudicizia dell'attore occidentale, che entra in scena con la superbia e la presunzione che una volta al microfono avverrà l'epifania, di cui Cosentino parla, non può non far pensare al Gastone di Petrolini: l'attore che non ha orrore di sé stesso.

In conclusione, due domande : Quanta perdita di senso il teatro può sopportare? E Quanta perdita del senso del teatro possiamo noi tollerare?


Giada Oliva
Osservatorio critico Roma2

OSSERVATORIO CRITICO UNIVERSITARIO - Secondo incontro



Secondo incontro: 15 ottobre 2010
Novo Critico 2010: Esercizi di Rianimazione
Andrea Cosentino incontra Claudia Cannella.

























Io, l’essere immobile. Osservazioni di uno spettatore assente

Sotto il vestito, nulla. Elegantissimo completo che sveste il corpo nudo dell’attore. Come a dire: apologia di una formalità informale. Non può essere un dettaglio casuale. E’ una precisa scelta. Un chiaro invito a porsi in un ottica del non senso comune. Una contraddizione in termini che prepara a quel “campionario di idiozie”, che bene descrive quanto a breve avverrà sulla scena.

Il corpo magro, si muove mollemente nella giacca. Le mani ciondolano esitando. Lo spazio scenico è simile ad uno stretto corridoio. Camminandovi, il corpo costruisce l’attenzione del pubblico disegnando traiettorie indecise: dagli oggetti al microfono, e ritorno. Il breve tragitto diviene lo spazio di attesa, dove è consentito chiedersi: che cosa succederà ora? Quale sarà la prossima mossa? E la prossima mossa arriva seguendo un percorso a tappe: scelta dell’oggetto, breve analisi delle sue caratteristiche fisiche e sonore, tentativo di animazione, sguardo attonito.

Una dettagliata quanto casuale Autopsia dell’immagine, che svela i meccanismi di rottura dell’oggetto, il punto di dissoluzione del senso logico e l’affiorare di connessioni ridicole.

Un Teatro di Figura dell’Orrore che spaventa e scompiscia nella misura in cui coglie impreparati di fronte alle molteplici e inaspettate possibilità del reale.

Chi ride esorcizza l’inquietante sospetto che nulla sia come sembri.

Chi ride ha paura che il giorno seguente, sotto la doccia, la spugna gli parli con la voce di Cosentino e gli ammicchi dal bordo della vasca, scrutandone le nudità.

Elena D’Angelo
Osservatorio critico Roma1

venerdì 22 ottobre 2010

Il quarto appuntamento in calendario è

Martedì 26 ottobre ore 16
UNIVERSITÀ ROMA2 TOR VERGATA
Facoltà di Lettere e Filosofia
Via Columbia 1 - Roma


ALESSANDRA SINI / SISTEMI DINAMICI
ALTAMENTE INSTABILI

incontra
ROSSELLA BATTISTI




Nel quarto incontro di Novo Critico:
una
Coreografia e danza Alessandra Sini
Suono Stefano Montinaro
Produzione Associazione Ciulinga


Proseguono gli appuntamenti di Novo Critico, incentrati sull’incontro fra critica, pubblico e artisti.
Sarà Rossella Battisti, critico teatrale de L’Unità, curatrice di importanti progetti come la collana Teatro in/civile, membro del comitato scientifico del progetto DanzaInVideo, Progetto Nazionale per il recupero della memoria storica della Danza Italiana dal 900 ad oggi e membro della giuria del Premio Ubu a presentare, martedì 26 ottobre (ore 16, Università Roma2 Tor Vergata) Alessandra Sini, danzatrice e coreografa di Sistemi Dinamici Altamente Instabili. Il progetto presentato, Una, persegue le logiche dell’improvvisazione per una qualità originale della materia corporea, densa d’immagini diversificate tendenti all’onirico. Un percorso coreografico dove l’insistenza nella ripetizione e nell’utilizzo simbolico d’immagini fisiche insiste su una nuova ritualità per scavare un varco dentro un mondo emotivo in continua evoluzione.


SISTEMI DINAMICI ALTAMENTE INSTABILI
Il gruppo persegue da tempo un percorso di ricerca originale e autonomo nell’ambito della corporeità di segno contemporaneo. La qualità mutevole delle dinamiche coreografiche è lontana da codificazioni possibili, si lega al gusto materico del corpo e al suo linguaggio astratto, mai narrativo o contenutistico. La ricerca si concentra su spazio e su modalità diversificate di fruizione e percezione. All'attivo venti produzioni coreografiche e molteplici allestimenti performativi site specific.


ALESSANDRA SINI
Coreografa e danzatrice nel gruppo Sistemi dinamici altamente instabili, sviluppa un percorso di ricerca autonomo, concentrato sulla danza pura di segno astratto, non narrativo ma emozionale. All’attivo venti produzioni coreografiche e molteplici allestimenti performativi site specific focalizzati sulle diverse modalità di fruizione e percezione dei corpi e degli ambienti delle danze.



ROSSELLA BATTISTI
Si definisce “danzologa" stanziale all’Unità dal 1986 (dove intercetta spesso anche spettacoli di teatro, soprattutto meticciato e d’avanguardia). La si trova sparsa anche per festival, su Danza & Danza, su Raisat, in programmi di sala, in sala al teatro Ruskaja all’Accademia Nazionale di Danza (dove cura appuntamenti di diffusione della cultura di danza). Appassionata di jazz e architettura d’interni - forma di danza immobile -, ama i gatti rossi, le rose rosa, lo zen e le tazze di tè. Ha tradotto "Memorie interrotte", autobiografia di José Limón e ha curato con Mario Perrotta "Teatro Incivile". raccolta di sei spettacoli di nuova drammaturgia italiana su dvd per “L'Unità."


ingresso libero su prenotazione



info e prenotazioni:
tel 349 2834261
novocritico@gmail.com

novocritico.blogspot.com



OSSERVATORIO CRITICO UNIVERSITARIO - Terzo incontro

Santasangre incontra Antonio Audino


L’IMMAGINE DEL PRESENTE, TRA REALE E VIRTUALE

Per la prima volta in occasione di Novocritico siamo seduti in un’aula universitaria. Confortati dal fatto che non si tratta di una lezione, nonostante la posizione frontale suggerisca il contrario, attiviamo da subito uno scambio diretto con gli artisti, che senza indugio ci parlano dei loro Studi per un teatro apocalittico. 84.06 è il primo momento di una trilogia che comprende anche Spettacolo sintetico per la stabilità sociale e Seigradi. Senza troppe presentazioni, due ragazze vestite di nero e con le idee molto chiare proiettano sul muro il loro lavoro, sperando di restituire almeno in parte quelle suggestioni visive e sensoriali caratteristiche della fruizione dal vivo, quindi ci introducono l’attività del loro collettivo: i Santasangre. Apocalisse, dicevamo, una parola recuperata da questi artisti nel suo significato etimologico originario, senza sensazionalismi. Si parla del disvelamento di un futuro prossimo con un approccio analitico e laico, da un punto di vista sociale e politico: appiattire la crisi affinché l’individuo non possa più discutere nulla.
In quest’ottica rileggiamo la trilogia. 1 - Uomo che resiste, 2 - Uomo che preferisce la solitudine e basta a sé stesso, 3 - Eliminazione di ogni rapporto tra individuo e sistema. Si svela uno spunto letterario (1984 di Orwell e Il Mondo nuovo di Huxley) in relazione alle prime due creazioni, per la terza invece l’allarme è esplicitamente il surriscaldamento terrestre, una deriva catastrofica che segna per l’uomo condizioni di sopravvivenza al limite. Quel limite racchiuso in soli sei gradi di calore, da non oltrepassare. Eppure Santasangre non si preoccupa tanto di valutare questa tesi, quanto di denunciare un’urgenza generale, un pericoloso allarme. Lo urla a gran voce, ma senza parole. Seigradi è un discorso universale ed emotivo, fatto soltanto d’immagini olografiche, elementi di natura artificiale realizzati in 3D, vere e proprie estensioni del performer in scena, che confondendosi col suo corpo soppiantano l’immagine naturalistica e, nonostante l’uso di una complessa tecnologia, rivelano un ciclo vitale di estrema semplicità: suono, corpo e immagine si fondono in un crescendo che dalla nascita evolve e si tramuta in distruzione. Un percorso iniziato già con 84.06, in cui automatismi sonori e indicazioni verbali invitano il corpo del performer a danzare con una tecnologia fatta di riflessioni olografiche e immagini video, dotate di una funzione quasi attoriale. Questa estetica si è poi perfezionata con Spettacolo sintetico per la stabilità sociale, in cui le manipolazioni visive rivelano vere e proprie rappresentazioni del sistema sociale e la voce si manifesta ancora in forma di registrazione. Con Seigradi si va invece verso l’astrazione totale, attraverso l’abbandono della parola in scena: ma non c’è silenzio, c’è canto, ci sono fonemi e rumori gutturali prodotti dall’apparato umano.
L’elemento live “esiste e resiste”, dice Santasangre, e testimonia una scelta di umanità: musica e video sono sempre gestiti in tempo reale da una regia magistrale, per restituire il senso di una forte precarietà. Al pubblico però non è richiesto di capire fino in fondo questo lavoro di manipolazione dal vivo, l’importante è che focalizzi l’attenzione su quel sottile confine tra virtuale e reale, che dona al performer una natura liminale e piena di senso.
Santasangre ci presenta poi altri esperimenti, tra cui Sincronie di errori non prevedibili, in cui il video non è più immagine che raffigura; agisce soltanto la luce, immersa in un impianto caotico di corpo e suono che si sviluppa, tuttavia, da una struttura molto semplice. Il titolo stesso è la sintesi di un lavoro fatto su scarti di corpo, video e audio: “errori che diventano materiali”, spiegano gli artisti, secondo un processo che molto ha in comune con gli esperimenti scientifici. Questo lavoro va in direzione dell’eliminazione del corpo umano, sostituito alla fine da una lastra di ghiaccio: materia viva allo stato puro. Arte e scienza così si fondono per restituire alla natura la sua fenomenologia.

I materiali di cui parlare sono davvero tanti. Antonio Audino coordina una discussione la cui forza sta nell’evidenziazione di un paradosso, ovvero l’angoscia della virtualità e il suo uso per fare un discorso contro la società della virtualità stessa. Il rischio, dice Audino, è che lavorare sull’immagine possa far sì che questa inglobi tutto lo spettacolo. E allontanarsi dalla parola, continua Donatella Orecchia, avvalora questo rischio: procedere verso l’astrazione oggi è sicuramente una strategia vincente, ma allo stesso tempo è una strada pericolosa da percorrere, perché potrebbe far cadere nel vortice di un virtuosismo autoreferenziale.
Santasangre ribadisce l’importanza nel suo lavoro dell’incontro con il pubblico e la concezione fortemente sentita da tutto il collettivo, del teatro come luogo fisico, emotivo e intellettuale. Poche altre certezze, dunque, ma una su tutte emerge incondizionata: il video non è mai soltanto un accessorio e la relazione con la tecnologia nasce da una logica cognitiva e insieme viscerale. Santasangre usa il linguaggio naturale di una generazione che vive e opera con i mezzi della contemporaneità, senza troppo stupore. In questo senso, testo e immagine hanno lo stesso potenziale e la manipolazione video, usata per dire qualcosa di molto forte politicamente, serve per costruire e portare un ragionamento davanti al pubblico, imprescindibile presenza per la riuscita dello spettacolo. Le strategie adottate non si riescono a riassumere nella codificazione di un metodo assoluto e valido per ogni spettacolo, bensì si concentrano nella capacità di saper trovare criteri e logiche sempre nuove rispetto ai diversi progetti.

In conclusione, oggi non sembra facile aiutare compagnie di questo genere a capire come “mettere le radici” e come fissare in modo solido la loro presenza sulla scena contemporanea, senza arrendersi alla fastidiosa constatazione di essere un semplice fenomeno di moda, che opera in quanto oggetto di consumo dell’evento spettacolare. Per un collettivo di artisti che s’inscrive a pieno titolo nel magma della virtualità, la realtà resta quanto di più incomprensibile: trovarsi quotidianamente a confronto con un teatro che istituzionalmente, spiega Audino, non ha alcuna voglia di assorbire i loro segni. E non parliamo di segni del “nuovo a tutti i costi”, ma semplicemente di segni della contemporaneità. Non a caso molti artisti continuano ad essere considerati “giovani” ed “emergenti” anche ben oltre la soglia dei 30 anni o quando dall’estero hanno già ricevuto molte attestazioni di successo e di riconoscimento ufficiale. Questo è un dato che i Santasangre avvalorano quando parlano esplicitamente di una forte “paura del futuro”, una paura che, sempre secondo la loro testimonianza diretta, riguarda anche molte altre compagnie italiane di ricerca della stessa generazione.

Francesca Magnini
Osservatorio Critico Università Roma1
21 ottobre 2010

giovedì 21 ottobre 2010

MATERIALI E RIFLESSIONI - Primo incontro

LE RIFLESSIONI CRITICHE DI NICOLA VIESTI



Già dal titolo - “Aldo Morto, tragedia” - il nuovo lavoro di Daniele Timpano suppone una qualche intimità con la figura dello statista democristiano, una mancanza di “timore sacro” per l'argomento trattato che in maniera netta – e questo nell'incontro romano veniva fuori con estrema evidenza – marcava uno scarto generazionale. Scarto che faceva insorgere non pochi equivoci sul valore “politico” dell'operazione rifiutato quasi con estremo sospetto dal pubblico non ancora trentenne. Pubblico che inseriva Moro nella galleria di personaggi precedentemente trattati da Timpano come Mussolini e Mazzini, storicamente abbastanza lontani e quasi immuni da una precisa scelta tra “sinistra” e “destra” per il performer e per il suo pubblico. In realtà così non è perché argomenti simili sono necessariamente e assolutamente politici e non si tratta, ovviamente, di “sinistra” e “destra”, ma di lettura storica fatta con occhio scaltro e distante che l'artista compie in forma estremamente originale e stimolante per suscitare ampio dibattito. “Dux in scatola” ha irritato non pochi che vi vedevano quasi una specie di esaltazione del fascismo nel far parlare un corpo senza vita ; ma quel corpo – il corpo del Duce – non poteva che raccontare la sua verità e la verità di un corpo massacrato è quella che è, fatta di offese alla carne che Timpano si guarda bene di omettere come non nasconde tutto un armamentario di cianfrusaglia fascista che sopravvive ancora oggi. E che dire ancora di un corpo, quello di Mazzini nel “Risorgimento Pop”, che svela montagne di retorica e che illumina un presente abbietto che – orrore! - ci sembra figlio quasi diretto dei “Padri della Patria”. Con Moro l'operazione mi sembra ancora più ambigua e pericolosa perché la differenza generazionale non è così marcata e moltissimi ancora ricordano i dubbi scatenati dal terribile periodo del suo sequestro e della sua esecuzione, entrambi iconizzati, e non a torto, in quanto l'evento è di quelli cardine per il destino di una nazione – quasi un nostro attentato alle Torri Gemelle – e sicuramente ne ha condizionato le non invidiabili sorti attuali. In una primissima stesura, un frammento quasi, “Aldo Morto” era di una spietatezza e spregiudicatezza assolute, tale che dopo la lettura inviai una mail a Daniele dicendogli che questa volta doveva prepararsi ad un soggiorno nelle patrie galere. Lui si augurava che non volessi fargli mancare le arance. Nella successiva elaborazione per “Novo Critico” il testo si è completamente trasformato con la bella intuizione di inserire il personaggio del figlio che ricorda e che è tutt'uno con il performer. E la violenza precedente si è trasformata completamente, lasciando spazio ad una intimità quasi affettuosa con un personaggio fotografato nella vita e nei sentimenti. E' successo che alcuni sono rimasti troppo scossi dai primi appunti ma anche che Daniele, man mano che approfondisce la figura di Moro, ne sta rimanendo colpito, sta mettendo in crisi precedenti certezze. Vedremo dove tutto ciò lo porterà.


Novo Critico” mi sembra un modo costruttivo e intelligente di mettere in relazione artista, opera, critica e spettatori. Discutere su un lavoro in fieri è utile a tutti; all'artista che verifica l'efficacia delle sue idee, al critico che interviene su frammenti in divenire azzardando probabili scenari e al pubblico che cerca di andare oltre una passività istituzionalizzata. Devo confessare che mi aspettavo – data una partecipazione prevalentemente di addetti ai lavori – un qualche match tra pubblico e critico. Cosa che mi è stata risparmiata per il tempo tiranno e per il sostanziale disinteresse degli spettatori verso una cosa del genere. Sono stati forse troppo buoni, o troppo scafati. Insomma non capita spesso di avere sotto mano un critico con la possibilità di togliersi qualche sassolino dalla scarpa. Va bene scambiarsi opinioni sul lavoro dell'artista della settimana ma non posso pensare che il rapporto con la critica fili così liscio. Qualcosa da recriminare dovrebbe – e c'è – sempre. Lo dico non per scatenare la rissa o per attivare una specie di sadomasochismo reciproco ma perché sono fermamente convinto che parlare con gli artisti, e con il pubblico, faccia benissimo proprio in primis al critico, a volte troppo protetto, troppo distante, troppo legato al “prodotto finito” e quasi mai conscio del lavoro, delle contraddizioni o delle sicurezze che lo hanno generato. E “Novo Critico” penso sia il luogo ideale per una verifica di questo genere. D'altronde l' autorevolezza della critica non risiede in una sua incontestabile infallibilità ma nella possibilità di affermare proprio un punto di vista, parziale, a volte fallibile, ma con l'imperativo di essere sempre suffragato da motivazioni quanto mai chiare. La rivista “Hystrio” qualche tempo fa pubblicava per alcuni spettacoli due pezzi, uno positivo e uno negativo : una bella palestra per confrontarsi con “l'altro” e per i lettori la possibilità di chiarirsi – o confondere ancor più – le idee. Va da sé che per l'artista la critica giusta era sempre quella positiva.
Nicola Viesti
19 ottobre 2010

PRIMA SERATA : DANIELE TIMPANO E NICOLA VIESTI

PRIMA SERATA : DANIELE TIMPANO E NICOLA VIESTI Il video integrale



realizzato da e-theatre.net

mercoledì 20 ottobre 2010

Osservatorio Critico Università Roma2


Secondo incontro - 15 ottobre 2010
Novo Critico 2010: Esercizi di Rianimazione,
Andrea Cosentino incontra Claudia Cannella.

Qual è il limite?

Qual è il limite che, se superato, fa perdere il plauso del pubblico? Fin dove ci si può spingere, giocando sul nonsense e sull’improvvisazione, senza temere di spezzare il legame con lo spettatore e al contempo l’afflato che spinge alla ricerca? Al pari di un cubo di spugna che tiene in mano e può nascondere numerose possibilità espressive solo scrutandolo a fondo (o, sarebbe meglio dire, giocandoci seriamente), l’artista Andrea Cosentino recepisce l’immediata reazione del pubblico, sulla quale inizia a creare un percorso che nessuno, né lui, né chi lo guarda, sa bene dove andrà a parare. Eliminare ogni scala gerarchica, l’attore è al livello dello spettatore, la parola d’ordine è ‘spiazzare’. ‘Disordinare’ e ‘cercare’, le sue compagne. Sulla scena si trova un insieme sparpagliato di cose, potenziali vitalità nelle mani di Cosentino, di cui si osserva la volontà costante di trascinare il gioco in una terra di nessuno, dove non appena si mette piede è necessario saltarne fuori, per cercare ancora, altrimenti svanirebbe la vena fanciullesca acuta ed attenta ad ogni particolare della materia che, tutta, indistintamente, da quella più nobile alla più povera, può sorprendere, emozionare. Lo studio prevede ripensamenti, idee solo accarezzate e immediatamente abbandonate; coi suoi esercizi, Cosentino più che mostrare un breve ritaglio di un prossimo spettacolo, ha introdotto lo spettatore al suo metodo che, con l’appoggio del suo compagno di viaggio, Francesco Picciotti, punta ad un teatro di figura, di palpabilità, metamorfosi e transizione, incapace di stabilizzarsi, perché chi si ferma è cresciuto. Uno spirito, quello di Cosentino, che si anima nella discussione con Claudia Cannella, che lo ha intervistato, e con l’uditorio per dire assolutamente la necessità di un teatro che faccia dell’immaginazione il suo stendardo di battaglia. Ovviamente una battaglia di bambini che giocano alla guerra, si ammazzano, muoiono e un attimo dopo sono di nuovo in piedi.

Laura Pacelli
Osservatorio Critico Università Roma2
18 ottobre 2010


Spicchi di raglio all’aglio
ai riccioli impepati di striature sorvolate;

Invasione parquet(ggiata) di giocattoli a granata
manipoli
di un padrone di baracca
messa in piedi a spray di lacca

che a fissarla basta un gesto
a mantenerla si fa presto
e a mangiarla in opinioni si fan tutti faraoni

di qualcosa che han capito
prima ancor che insista il dito
sul perché del desiderio
di mostrarsi poco serio

Ché se il serio fosse stolto
di codesto avresti il volto
da affogare tra le mani d’orsacchiotti in marzapane

e al cretino affideresti
la lungimiranza d’amabili resti
proiettando in bel farsetto quel che a quark finor s’è detto

Ma auscultando sott’orecchio
s’è poi perso l’intelletto
di quel genio fulminato
che alle ortiche hai regalato.

Poi maestra
la saggezza
del tuo dire in post scaltrezza
quando al muro
la Cannella
hai trattato da bidella

perché a piedi
dalla luna
t’ha gettato in una duna
domandandosi il perché
tutti ridano di te.

Maria Rita Di Bari
Osservatorio Critico Università Roma2
18 ottobre 2010
Osservatorio Critico Università Roma2

La svestizione dell’attore

L’accattonaggio di Artaud. Prima di tutto. Torna, ad introduzione della nuova performance di Andrea Cosentino, una maschera nota. A manovrarne i gesti, Francesco Picciotti, a simularne la voce (registrata e lontana), il suo primo inventore. Nel ristretto spazio di Kataklisma Teatro, il processo teatrale avviene per gradi, nel passaggio dall’esterno - piazza tanto agognata - all’interno.
Il tempo a sua volta pare invertire logica, in un ritorno al futuro che vede sparsi in un angolo cadaveri di oggetti da rianimare e con cui tentare il contatto. Instabile demiurgo è il corpo attoriale, quasi fantoccio, ancora non del tutto clownesco. Così, Cosentino rompe il filo logico del discorso, appigliandosi alla mimica e ad una sonorità necessaria. Qualche verso, l’assurdità di un discorso tra una papera di peluche e un ranocchio dalla personalità instabile, una lettura tra l’attore e il suo doppio. Nel jeu de vivre della scena non c’è narrazione ma processualità in atto, ricerca di possibili e ironiche relazioni tra la materialità del corpo e quella dell’oggetto. Si riparte dal non-sense, dal grado zero. Durante il dibattito è Cosentino a spiegare come al di là di un tema da raccontare, siano la domanda e la ricerca sulla propria presenza in scena a dar vita al tutto. Dietro la figura che rappresento, cosa sono io? L’agire attoriale si destruttura e il teatro torna a riflettere su se stesso. 
E’ forse questo il dato più interessante dell’esperienza presentata da Esercizi di rianimazione. E’ la svestizione dell’uomo-attore che freme e sembra patire nel tentativo di tirare la corda dell’assurdo, di far ridere solo a partire dalla semplicità. Non personaggi, dunque, né individualismi di sorta. La volontà paradossale di chi agisce è proprio quella di abbandonare il potere dispotico della rappresentazione a partire dalla neutralità. Così, un cubetto di spugna acquista la propria identità con un naso rosso, nell’annuire, nel diniego e nella sofferenza oggettuale. Un campionario di scemenze che ad un certo punto diventa sublime, dice Roberto Ciancarelli. E il pubblico ride di un “riso sgangherato”. Eppure siamo solo all’inizio: chiediamo che la corda si tiri ancora e che il clown irrompa con più crudeltà. "C’è da irridere un morto".      

Francesca Bini
Osservatorio Critico Università Roma2
19 ottobre 2010

INTERVISTA DI KLP AD ANDREA COSENTINO, FRANCESCO PICCIOTTI E CLAUDIA CANNELLA

INTERVISTA DI KLP A ANDREA COSENTINO, FRANCESCO PICCIOTTI E CLAUDIA CANNELLA

SECONDA SERATA.: ANDREA COSENTINO - IL VIDEO



a cura di Klp

lunedì 18 ottobre 2010

Il terzo appuntamento in calendario è


Mercoledì 20 ottobre ore 16

UNIVERSITÀ ROMA2 TOR VERGATA
Facoltà di Lettere e Filosofia
Via Columbia 1 - Roma


SANTASANGRE
incontra
ANTONIO AUDINO



Nel terzo incontro di Novo Critico:


Frammenti


Proseguono gli appuntamenti di Novo Critico, incentrati sull’incontro fra critica, pubblico e artisti.
Mercoledì 20 ottobre, presso l’Università di Romadue, è il turno di una delle compagnie di punta del teatro di ricerca italiano, Santasangre, Premio Ubu 2009. La compagnia, impegnata nella nuova produzione “Bestiale improvviso”, che debutterà al festival Romaeuropa dal 10 al 14 novembre, presenta Frammenti, estratti video della loro storia artistica. Con loro Antonio Audino, critico teatrale de Il Sole24 Ore, docente di Metodologia e Critica dello Spettacolo all’Università di Roma Tor Vergata, autore e conduttore di programmi per Radio3 Rai, membro della giuria del Premio Ubu.
Espressione di un collettivo eterogeneo per formazione e personalità, i Santasangre iniziano il loro percorso con la volontà di indagare quello spazio vuoto, quella frattura che esiste oltre il linguaggio definito. Avviano processi di contaminazione espressiva lungo un asse trasversale capace di toccare i più significativi linguaggi artistici e performativi come il video, la musica, il corpo e l'estetica degli ambienti.
La linea che distingue la progettualità dei Santasangre si articola in una direzione di interferenza con il presente, nelle infinite possibilità che il linguaggio artistico possiede.

SANTASANGRE è un progetto di ricerca artistica che nasce a Roma alla fine del 2001 dall’incontro di Diana Arbib, Luca Brinchi, Maria Carmela Milano e Pasquale Tricoci. Dal 2004, con l’ingresso di Dario Salvagnini e Roberta Zanardo, raggiungono la formazione attuale.
Presenti in contesti nazionali e internazionali, per il 2010 sono sostenuti nella produzione dai Festival Romaeuropa, Centrale Fies, Festivale della Colline Torinesi e Opera Estate. Hanno vinto il premio Ubu 2009 e la menzione speciale per la sperimentazione dei linguaggi al PremioTuttoteatro.com Dante Cappelletti 2006. Fondatori insieme alle compagnie Città di Ebla, gruppo nanou, Ooffouro e Cosmesi del progetto Ipercorpo, dal quale è tratto il libro Iperscene curato da Mauro Petruzziello per Editoria e Spettacolo (2007).

ANTONIO AUDINO Lavora a Rai Radio3 occupandosi della programmazione e dell’informazione teatrale. Scrive di teatro sul quotidiano “Il Sole 24 Ore”. Insegna “Metodologia e critica dello Spettacolo” all’Università di Roma – Tor Vergata. Ha pubblicato i seguenti volumi “La Compagnia dei Giovani. 1954/1974 Una stagione del teatro italiano” Editalia Poligrafico dello Stato, Roma, 1995, e “Corpi e visioni. Indizi sul teatro contemporaneo”, Artemide, Roma, 2008. Ha curato nel 2008 le voci relative al teatro dell’ultimo aggiornamento dell’Enciclopedia Treccani e alcune voci del “Dizionario dello Spettacolo del Novecento” Baldini e Castoldi, 1998, nonché numerosi saggi in volume dedicati soprattutto alle giovani formazioni di ricerca.


ingresso libero

info e prenotazioni:
tel 349 2834261
novocritico@gmail.com
novocritico.blogspot.com



sabato 16 ottobre 2010

OSSERVATORIO CRITICO UNIVERSITARIO



OSSERVATORIO CRITICO UNIVERSITARIO
coordinato da Donatella Orecchia Roberto Ciancarelli


Osservatorio studenti RomaDue

Giada Oliva
Francesca Bini
Maria Rita Di Bari
Laura Pacelli
Agnese Valle


Osservatorio studenti RomaUno

Elena D'Angelo
Francesca Magnini



Novo Critico 2010: primo studio di Aldo Morto,
Daniele Timpano incontra Nicola Viesti.

Immagini frammentarie, ricostruzioni vere e verosimili, popolano il nuovo lavoro di Daniele Timpano, ancora in piena fase di allestimento. L’attore si confronta con l’orizzonte d’attesa di un pubblico ristretto e con l’occhio (più o meno attento) della critica. In scena, lo specchio deformato e deformante della memoria storica collettiva, a sondare ancora una volta i complessi meccanismi di creazione e ricezione comunicativa.
Aldo Moro muore il 9 Maggio del 1978 dopo 55 giorni di sequestro. Stampa e televisione ricordano un numero perfetto, includendo nel proprio calcolo un’ immagine che ormai appartiene a tutti indistintamente. Bianco e nero, corpo assassinato, scoperto, martirio (demo)cristiano: "Fate presto", avrebbe detto Andy Warhol. Nel passaggio della morte da archetipo a cliché, nota qualcuno tra il pubblico, si inserisce il tono dissacrante di una recitazione schizofrenica; i fatti di cronaca si fondono alla rielaborazione personale e artificiale dell’arte e il disagio ricettivo sembra esserne la conseguenza necessaria. L’inattendibilità posta volontariamente alla base del lavoro crea uno scarto critico che mira a riattivare le facoltà percettive del pubblico.
Timpano irretisce con disinvoltura, provoca, senza che ci si accorga subito della portata della provocazione. Continui avvicinamenti e distanziamenti dall’oggetto, irritano e divertono. A ferire, è soprattutto il dato inventato. All’apertura del dibattito c’è chi lamenta la mancanza di un’esplicita presa di posizione morale e chi si domanda se il teatro di Timpano debba essere inteso come atto politico. I tempi sono tali e i confini così poco netti, minacciati da continue ridefinizioni e ambiguità, che sembra necessario tornare a riflettere sul rapporto tra teatro e politica, o tra il Teatro e il Politico. Si potrebbe esprimere, di prima battuta, lo stupore nel vedere i due termini così disgiunti. D’altronde sono l’uso del linguaggio e la difficoltà di dare un nome alle cose, le spie più importanti di un’odierna confusione di pensiero e di un desolante smarrimento di bussole guida. Andando al di là del semplicistico schieramento tra destra e sinistra (che pure non manca), o delle personali opinioni divulgate, Timpano sceglie di far reagire tutto ciò che di Moro è stato scritto, filmato, ricordato. L’efficacia di questa operazione è data dalla presenza in scena di un corpo scosso e deflagrato che destruttura un’iconografia comune, aprendo alle più svariate possibilità di costruzione. Sono la fisicità e la concretezza del corpo attoriale a creare un vero e proprio cortocircuito con le molteplici proiezioni storico-culturali, ombre mediatiche del caso Moro.

Francesca Bini e Giada Oliva
Osservatorio Critico Università Roma2
14 ottobre 2010

giovedì 14 ottobre 2010


Quando salta la giacca

La distanza dai fatti spesso permette una chiarezza analitica che può sfuggire all’emotività di chi li vive. Se, invece, tale distanza fosse il metro per avanzare una ricerca che persegue l’inciampo, che innesca il dubbio, che mostra la relatività della realtà secondo il punto di vista di chi scruta o guarda sottecchi o affina lo sguardo o sbarra gli occhi, cosa accadrebbe? Ci si potrebbe trovare a farsi travolgere da un magma di parole e improvvisi silenzi ed osservare gesti calibrati, a volte esacerbati, altre pacati, che procedono per opposizione e innescano tramite la reiterazione un ritmo ben definito: quello del teatro di Daniele Timpano. La pluralità dei tempi, memoria personale e collettiva, ricostruzione storica e realtà contemporanea (il presente dell’artista, il suo vissuto che filtra) si intrecciano e insediano nel corpo dell’attore, propriamente calato dentro abiti borghesi che raccontano un’ufficialità apparente e possono improvvisamente andare stretti. La giacca ad un tratto fa soffocare, viene tolta con furia, vola a terra. Poi di nuovo viene indossata.
L’inquietudine è in agguato, si percepisce un ambiguo che non approda a soluzione, una sospensione che se muove al riso subito dopo colpisce per stringere nel dubbio e che svela un Timpano che si dibatte tra cattiveria dissacrante e pietismo che seda l’iniziale partitura. Di questo si è trattato nella fase successiva alla presentazione del frammento dell’ultima creazione di Timpano “Aldo Morto”, dove l’artista, il critico che lo ha intervistato e gli spettatori hanno discusso sull’evoluzione dello spettacolo con un’interessante retrospettiva dell’opera di Timpano e della sua accoglienza presso il pubblico e le giurie di addetti ai lavori, per poi estendere il discorso sui doveri del teatro, sulla capacità di esso di agire nella vita pubblica. Ne è nato un confronto che per l’artista risulta elemento di formazione e informazione utile ai futuri sviluppi del suo lavoro e per lo spettatore, che interviene attivamente, momento di riflessione sul teatro, sul proprio modo di intenderlo, scoperta della fucina creativa di un attore, drammaturgo, regista che anche fuori della scena sfugge come un fluido a nette classificazioni.


Laura Pacelli
Osservatorio Critico Università Roma2
14 ottobre 2010

martedì 12 ottobre 2010

Il secondo appuntamento in calendario è


Venerdì 15 ottobre ore 21
SPAZIO KATAKLISMA

Via G. De Agostini 79 - Roma


ANDREA COSENTINO

incontra
CLAUDIA CANNELLA


Nel secondo incontro di Novo Critico:
Esercizi di Rianimazione


di
Andrea Cosentino e Francesco Picciotti
collaborazione artistica Dario Aggioli, Sergio Lo Gatto
produzione Mara'samort – Pierfrancesco Pisani



Un’esercitazione sulla praticabilità della scena, sulla fattibilità dei gesti, sull’abitabilità dei corpi. Con maschere, pupazzi, oggetti. Giocare ad animare per animarsi. Accennare mondi e disfarli. Per un pubblico di bambini e adulti. Per noi stessi. Prima di ogni distinzione. Una ripartenza.


Venerdì 15 ottobre Andrea Cosentino, attore, autore, comico e studioso di teatro presenta Esercizi di Rianimazione, un’esercitazione sul teatro di figura finalizzata alla reinvenzione di grammatiche teatrali sghembe e divertenti.

Una non - storia per far nascere le figure dagli oggetti e dai pezzi di corpo, farle agire, aspettare che vivano, che s’incontrino.

Cosentino si diverte a riattraversare l’infanzia non per assecondarla, ma per reinventare nuovi orizzonti e per trovare domande inevase, giocare a recitare partendo dal grado zero, dove inventare regole nuove e poi giocare a disfarle.

Un progetto di spettacolo dove giocare con l’ausilio di cose, per non restare ostaggi dei personaggi e delle loro psicologie ma per essere liberi di reinventarsi miriadi di corpi.



ANDREA COSENTINO Attore, autore, comico e studioso di teatro. Tra i suoi spettacoli 'La tartaruga in bicicletta in discesa va veloce', il ‘dittico del presente’ costituito da L'asino albino e Angelica (i cui testi son pubblicati in Andrea Cosentino. L’apocalisse comica, a cura di Carla Romana Antolini, Roma, Editoria e spettacolo, 2008), Antò le Momò-avanspettacolo della crudeltà e Primi passi sulla luna. In questi ultimi lavori si avvale della collaborazione registica e drammaturgica di Andrea Virgilio Franceschi e Valentina Giacchetti. Le sue apparizioni televisive vanno dalla presenza come opinionista comico nella trasmissione AUT-AUT (Gbr-circuito Cinquestelle) nel 1993 alla partecipazione nel 2003 alla trasmissione televisiva Ciro presenta Visitors (RTI mediaset), per la quale inventa una telenovela serial-demenziale recitata da bambole di plastica. E' fondatore del PROGETTO MARA'SAMORT, che opera per un'ipotesi di teatro del-con-sul margine, attraverso una ricerca tematica, linguistica e performativa sulle forme espressive subalterne, e promuove il format paratelevisivo autarchico Telemomò.



FRANCESCO PICCIOTTI è laureato presso il Dams di Roma 3 con una tesi/spettacolo dal titolo Brecht’n Puppets; è co-autore e regista di Elettra Riletta, Drei Liter, e altri spettacoli in cui utilizza il teatro di figura, mescolandolo con il teatro più tradizionale, per cercare nuove possibilità di messa in scena. Scrive e dirige il corto teatrale Genesi aperta con cui partecipa a diversi festival e vince il premio per il miglior corto e per la miglior drammaturgia al festival nazionale In-breve. Dal 2005 lavora con il teatro dei burattini San Carlino di Roma per cui recita, scrive e dirige alcuni spettacoli tra cui Il flauto magico...di Pulcinella in scena presso l’Auditorium Parco della Musica di Roma. Lavora come assistente alla regia per il Teatro delle Apparizioni, e come attore-improvvisatore nell’associazione Teatrate organizzatrice, a Roma, dei Match di Improvvisazione Teatrale. Ha lavorato per il Teatr Lalek di Breslavia, in Polonia. Idea e costruisce personalmente burattini, marionette e pupazzi con gommapiuma, carta, cartapesta.


CLAUDIA CANNELLA
Claudia Cannella si è laureata in Lettere Moderne all’Università di Pavia e ha conseguito il dottorato di ricerca in Storia del Teatro all’Università di Firenze. È giornalista pubblicista dal 1992 e, dal 1998, dirige la rivista Hystrio-Trimestrale di Teatro e Spettacolo dove ha cominciato a lavorare nel 1990. È collaboratrice fissa, per quanto riguarda il teatro di prosa, del Corriere delle Sera (dal 2000) e del suo inserto Vivimilano (dal 1995). Sempre in ambito teatrale, ha collaborato anche con Pass Milano, Ridotto, Ricordi Oggi, Il Castello di Elsinore, Drammaturgia, Il Patalogo. Fa parte delle giurie di alcuni premi teatrali (Premio Hystrio, Premio Ubu, Premi Olimpici per il Teatro, Premio Ugo Betti). Ha ricevuto il Premio al Merito per la Giovane Critica 1996, attribuito dal Consiglio dell’Ordine Nazionale dei Giornalisti/Associazione Nazionale Critici di Teatro, e i Premi “Diego Fabbri” e “Franco Sacchetti” per Il Teatro del Cielo. Cinquant'anni di storia dell'Istituto del Dramma Popolare di San Miniato (a cura di U. Ronfani, Milano, Lupetti, 1996).


ingresso libero su prenotazione

info e prenotazioni:
tel 349 2834261
novocritico@gmail.com
novocritico.blogspot.com